E se lo spazio-tempo fosse una schiuma?

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(Foto via Pixabay)

(Sapienza Università di Roma) – Pensare lo spazio-tempo come una schiuma. È quanto hanno fatto i fisici per conciliare due teorie rivoluzionarie della fisica moderna: la relatività generale che spiega la gravitazione su larga scala e la teoria quantistica che disciplina il comportamento delle particelle microscopiche fondamentali.

Essenzialmente i modelli di “schiuma”, avendo a che fare con particelle microscopiche, descrivono lo spaziotempo come una struttura geometrica granulare, contrariamente a quanto accade per i moti di corpi macroscopici, come i pianeti, nei quali non si manifesta alcuna granularità spaziotemporale. Dal punto di vista osservativo è una situazione analoga a quella di un secchiello trasparente riempito di sabbia a metà: guardando il secchiello da lontano non si riesce a capire se contiene un fluido o qualcosa di struttura granulare; solo avvicinandosi al secchiello (aumentando quindi la risoluzione con cui osserviamo) si riesce ad apprezzare la granularità della sabbia.

Per decenni non si è riusciti a dimostrare sperimentalmente questa affascinante ipotesi di descrizione dello spazio-tempo, perché gli effetti del fenomeno sono estremamente piccoli e quindi difficilissimi da rilevare.  

Lo studio condotto dal fisico della Sapienza Giovanni Amelino Camelia, in collaborazione con il dottorando Giacomo D’Amico e gli ex-dottorandi Niccolò Loret e Giacomo Rosati (ora rispettivamente all’Università di Zagabria e all’Università di Cagliari) ha prodotto la prima analisi di dati sperimentali con esiti che, sebbene per ora preliminari, favoriscono appunto lo scenario della schiuma spaziotemporale.

La ricerca, pubblicata nell’ultimo numero della rivista Nature Astronomy, ha utilizzato i dati ottenuti dal telescopio spaziale Fermi, un telescopio finanziato principalmente dalla NASA a cui collaborano anche le agenzie spaziali di Italia, Francia, Giappone e Svezia, e dall’osservatorio per neutrini IceCube, localizzato al polo sud e finanziato principalmente dalla National Science Foundation degli USA.

Lo studio ha una impostazione statistica che considera tutti i dati finora ottenuti da Fermi e IceCube, per stabilire quanto sono frequenti le osservazioni di particelle (fotoni o neutrini) con proprietà attribuibili alla schiuma spaziotemporale.

In base ad alcuni modelli di schiuma spazio temporale le particelle che giungono fino a noi dalle sorgenti che le emettono impiegherebbero un tempo di viaggio che dipende, seppur molto debolmente, dalla loro energia. Cercare evidenza di questa dipendenza dei tempi di viaggio dall’energia è reso più difficoltoso dal fatto che le proprietà delle sorgenti, per ora ancora poco comprese, potrebbero in alcuni casi mimare gli effetti della schiuma spaziotemporale. Solo con analisi statistiche che combinino le proprietà osservate per un insieme di particelle si può provare a distinguere tra effetti dovuti alle proprietà delle sorgenti ed effetti dovuti alla schiuma spaziotemporale.

 

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I modelli di schiuma spaziotemporale attribuiscono struttura a piccola scala alla geometria dello
spaziotempo, un po’ come la superficie di un tavolo che ad un prima percezione ci appare essere molto ben
levigata può poi manifestare della porosità se osservata a più alta risoluzione (magari con un microscopio).
Le influenze di questa struttura schiumosa dello spaziotempo dipenderebbero dalle dimensioni delle
particelle, avendo una influenza maggiore su particelle di piccole dimensioni (b) rispetto al caso di particelle
di dimensioni più grandi. Questa dipendenza dalle dimensioni delle particelle si traduce poi in una
dipendenza dalle loro energie, visto che, come predetto dalla meccanica quantistica, la dimensione di una
particelle è inversamente proporzionale alla sua energia (Via Sapienza Università di Roma)

Lo studio condotto dalla Sapienza mostra che i dati raccolti finora hanno proprietà statistiche che favoriscono l’interpretazione basata sulla schiuma spazio-temporale, piuttosto che sulle proprietà delle sorgenti, ma il campione statistico attualmente disponibile non è sufficiente a trarre conclusioni definitive.

“Con l’ulteriore accumulo di dati che si avrà nei prossimi 4 o 5 anni – spiega Amelino Camelia – potremo sapere con certezza se lo specifico modello di schiuma spaziotemporale che abbiamo considerato è confermato. Anche in caso negativo – continua il ricercatore – sarebbe un passo significativo per lo studio della schiuma spaziotemporale, consentendoci di restringere la classe di modelli su cui concentrare gli sforzi”.

Riferimenti: In vacuo dispersion features for gamma-ray-burst neutrinos and photons; Giovanni Amelino-Camelia, Giacomo D’Amico, Giacomo Rosati Niccoló Loret, Nature Astronomy doi:10.1038/s41550-017-0139

 

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