Sperimentazioni a portata di mouse

Una mossa coraggiosa per alcuni, una piccola concessione per altri. Sicuramente un’iniziativa necessaria, dopo le ultime polemiche: le grandi aziende farmaceutiche europee e statunitensi pubblicheranno entro il 2005 su siti Internet liberamente consultabili i risultati degli studi clinici da loro intrapresi per dimostrare l’efficacia dei farmaci. L’annuncio viene dalle quattro associazioni industriali di settore più importanti: l’International Federation of Pharmaceutical Manufactures and Association (Ifpma), la European Federation of Pharmaceutical Industries and associations (Efpia), la Pharmaceutical Manufacturers Association giapponese (Jpma) e la Pharmaceutical Research and Manufactures of America (Phrma).Sembrerebbe quindi che gli ultimi scandali abbiano sortito un qualche effetto. L’accusa lanciata la scorsa settimana dalle pagine di The Lancet all’industria del tabacco di aver tenuto segreti i risultati di trial clinici che indicavano il legame fra fumo di sigaretta e alterazione del gene p53, il cui danneggiamento porta alla divisione incontrollata delle cellule tipica del cancro. Prima ancora lo studio pubblicato sul British Medical Journal, tenuto nascosto dalla Eli Lilly fin dagli anni Ottanta, sull’aumento di rischio di suicidio in quanti fanno uso dell’antidepressivo Prozac. E poi ancora le critiche che si sono alzate contro la Food and Drug Administration, l’ente statunitense chiamato a decidere quali farmaci possano entrare nel mercato Usa e quali no, e il suo sistema di approvazione veloce, la cosiddetta “fast track”: l’approvazione di specialità sulla base di dati positivi parziali, indicatori intermedi dell’efficacia del trattamento. Un sistema che avrebbe prodotto enormi falle nel sistema di controllo dei risultati delle sperimentazioni sia in fase di approvazione sia dopo, in fase di commercializzazione. L’ultimo esempio è quello dell’inibitore della cicloossigenasi 2 Vioxx, un antidolorifico di nuova generazione, ora ritirato dalla casa produttrice Merck, a causa dei suoi effetti collaterali sul sistema cardiovascolare. Ma la lista degli anti COX-2 è lunga e anche Pfizer, che commercializza la specialità più venduta, il Celebrex, sta ora analizzando i risultati degli studi clinici con maggiore attenzione. “Dopo circa 15 anni di discussione sui registri dei trial clinici forse qualcosa comincia a muoversi”, afferma Alessandro Liberati, direttore del Centro Cochrane italiano presso l’Istituto Mario Negri. “Una forte spinta è venuta anche dagli editori di riviste mediche che dal luglio prossimo si sono impegnati a non pubblicare più studi che non siano stati registrati fin dall’inizio”. Una decisione che avrà fatto riflettere le aziende: la pubblicazione su una rivista internazionale è un canale importante di promozione scientifica. Ma il problema non è solo quello della costituzione dei registri. Di database di studi scientifici ne esistono già diversi: negli Stati Uniti c’è www.clinicaltrials.gov dove sono pubblicati i risultati dei trial di medicine che curano malattie gravi o che mettono a rischio la vita dei pazienti. In più lo scorso ottobre è stato lanciato il sito www.clinicalstudyresults.org, dove sono disponibili i dati dei trial completati a partire dal 1 ottobre 2002 che riguardano medicinali attualmente sul mercato. Ancora, i pazienti oncologici possono andare al sito (http://cancer.gov/search/clinical_trials/) del National Cancer Institute e sapere quali molecole sono in sperimentazione. A livello internazionale un altro database è Current controlled trials (http://www.controlled-trials.com/). Lo scoglio semmai è un altro. “Negli Usa, per esempio, la registrazione è obbligatoria solo per gli enti pubblici”, spiega Liberati. “Le aziende lo possono fare, ma nessuno le obbliga”. Per una volta tanto a dare l’esempio è l’Italia. “Da noi chi vuole condurre uno studio clinico è obbligato a registrarlo nel database del Ministero della Salute. Purtroppo però il registro non è accessibile se non per quel che riguarda i dati statistici generali”. In altre parole possiamo sapere quanti trial vengono svolti in un determinato momento, ma nulla possiamo sapere sul contenuto: l’accesso è garantito solo ai comitati etici.“I punti in questione quindi sono due”, sottolinea Liberati, “da una parte l’obbligatorietà della registrazione per tutti, pubblico e privato, dall’altra l’accessibilità, che deve essere garantita ai cittadini”. Almeno a quest’ultimo punto sembrano ora rispondere le farmaceutiche, impegnandosi a pubblicare i dati in loro possesso. Non solo quelli relativi a studi che sono andati a buon fine, ma anche quelli che non hanno dimostrato l’efficacia del farmaco. In più le aziende renderanno pubbliche anche alcune informazioni su sperimentazioni in corso: entro 21 giorni dall’inizio saranno comunicati i criteri di arruolamento, gli scopi principali dello studio, la durata, gli enti coinvolti.Sul primo punto invece le posizioni sono più vaghe: la parola impegno non implica l’adesione di tutti e, soprattutto, su tutto. C’è infatti anche chi pensa che la dichiarazione d’intenti delle farmaceutiche sia principalmente una mossa mediatica, ma che poi alla resa dei conti sui registri “volontari” verranno pubblicati solo alcuni dati, quelli che meglio concordano con le politiche commerciali delle aziende stesse.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here