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Spiegate le differenze tra i volti di umani e quelli degli scimpanzé

La faccia di uno scimpanzé è decisamente diversa da quella di un essere umano, nonostante la vicina parentela. A chiarire le differenze tra i loro volti arriva oggi uno studio di antropologia cellulare dei ricercatori della Stanford University Medical Centre, che ha studiato i possibili cambiamenti strutturali che si osservano in due specie con un patrimonio genetico quasi identico.

Secondo la ricerca, la chiave è nella regolazione dell’espressione genica dei geni coinvolti nello sviluppo del viso, cioè quanto, quando e dove vengono espressi. I ricercatori hanno infatti scoperto che gli scimpanzé e gli esseri umani esprimono diversi livelli di proteine note per controllare lo sviluppo delle parti del viso, tra cui quelle coinvolte nella mascella, nella lunghezza del naso e nella pigmentazione della pelle.

“Stiamo cercando di capire i cambiamenti nel nostro Dna che si sono verificati durante la recente evoluzione e ci reso diversi dalle scimmie”, ha spiegato Joanna Wysocka, coautorice dello studio. “In particolare, siamo interessati alle strutture cranio-facciali, che hanno subito una serie di adattamenti nella forma della testa, nel posizionamento degli occhi e nella struttura facciale che ci permettono di ospitare un cervello più grande, camminare in posizione eretta e persino utilizzare la nostra laringe per il discorso complesso”.

I ricercatori si sono concentrati sulle aree di Dna note come regioni enhancer, regioni che controllano quando, dove e quanto i geni sono espressi, regolando la frequenza di trascrizione del gene che correlato anche attraverso il legame con alcune proteine. Ma le diverse modalità delle proteine di legarsi a queste regioni enhancer durante lo sviluppo potrebbero spiegare le differenze morfologiche tra esseri umani e scimpanzé?

Per rispondere a questa domanda i ricercatori per prima cosa hanno dovuto ottenere le cellule della cresta neurale, cellule specializzate presenti solo nello sviluppo molto precoce dei primati (negli esseri umani compaiono circa cinque settimane dopo il concepimento). Anche se la loro prima apparizione avviene lungo quello che poi diventerà il midollo spinale, le cellule della cresta neurale migrano nel tempo per influenzare la morfologia del viso e si differenziano poi in osso, cartilagine e tessuto connettivo della testa. “Queste cellule sono uniche”, ha spiegato Sara Prescott, tra gli autori del paper “ e se vogliamo capire che cosa rende le facce umane e dello scimpanzé diverse, dobbiamo guardare all’origine. L’accesso ai primi tipi di cellule, come quelle della cresta neurale può essere molto difficile, soprattutto quando si studiano i primati”. Per ottenere questo tipo di cellule, i ricercatori hanno utilizzato cellule staminali pluripotenti indotte, o cellule IPS, quindi generate artificialmente a partire da una cellula somatica adulta di scimpanzé, e poi di essere umano.

Poiché le cellule IPS possono essere portate a diventare altri tessuti, Prescott e suoi colleghi le hanno modificate in cellule della cresta neurale. Hanno quindi esaminato le regioni enhancer in tutto il genoma, alla ricerca di quelle che non erano solamente attive -e quindi coinvolte nello sviluppo craniofacciale- ma anche di quelle i cui gradi di attività sembravano variare tra le cellule umane e scimpanzé. “La maggior parte degli elementi regolatori sono gli stessi tra le due specie”, ha spiegato Wysocka: “ma abbiamo notato alcune differenze. In particolare, abbiamo trovato circa 1.000 regioni enhancer che abbiamo chiamato ‘species-biased’ (specie-orientate), nel senso che sono più attive in una specie o nell’altra”.

In particolare, i ricercatori hanno scoperto che due geni, PAX3 e PAX7, noti per influenzare la forma, la lunghezza del muso e la pigmentazione della pelle nei topi sono stati espressi a livelli più alti negli scimpanzé rispetto agli esseri umani. Al contrario, un altro gene noto per essere coinvolto nel determinare la forma dei becchi dei fringuelli e dei pesci ciclidi era espresso a livelli più elevati nell’essere umano che negli scimpanzé. Nei topi, la sovra-espressione di questo gene, BMP4, nelle cellule della cresta neurale, provoca un significativo cambiamento nelle forma del viso, cioè un arrotondamento del cranio e degli occhi che sono più vicini alla parte anteriore del viso, come avviene nella specie umana.

“Ora stiamo studiando alcune di queste più interessanti regioni enhancer ‘specie-orientate’, per capire meglio il loro impatto sulle differenze morfologiche”, ha concluso Wysocka: “Sta diventando chiaro che questi percorsi cellulari possono essere utilizzati in molti modi per influenzare la forma del viso”.

Riferimenti: Cell DOI: http://dx.doi.org/10.1016/j.cell.2015.08.036

Credits immagine: Thomas Lersch via Wikipedia

 

 

Marta Musso

Laureata in Scienze Naturali alla Sapienza di Roma con una tesi in biologia marina, ha sempre avuto il pallino della scrittura. Curiosa e armata del suo bagaglio di conoscenze, si è lanciata nel mondo del giornalismo e della divulgazione scientifica. “In fin dei conti giocare con le parole è un po' come giocare con gli elementi chimici”.

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