Stonato a chi?

Solo il quattro per cento della popolazione mondiale è davvero irrimediabilmente stonata. Ce lo rivela Isabelle Peretz, che insieme a Robert Zavorre, nell’ottobre scorso ha dato vita al Brams (Brain, Music and Sound Research), un centro internazionale per lo studio delle relazioni tra cervello, musica e suoni. Entrambi sono docenti presso il Montreal Neurological Institute della McGill University e sono considerati delle autorità nel settore della neurobiologia che si occupa di disturbi del senso musicale. In particolare, Isabelle Peretz ha curato studi sull’amusia – l’incapacità di riconoscere e riprodurre ritmi e/o melodie – e sulla base genetica della percezione e dell’elaborazione dell’informazione musicale. Robert Zatorre dirige un laboratorio che si occupa di neuroscienze cognitive della percezione acustica.Le loro ricerche, sintetizzate di recente in un articolo su Annual Review of Psychology, portano nuove prove a sostegno dell’idea della musica come “patrimonio genetico” e non solo culturale, della nostra specie. “L’amusia non è un problema funzionale dei sensi” spiega Peretz “È una condizione che riguarda esclusivamente la musica e la fonologia musicale, ovvero la capacità di applicare toni alle scale”. Negli amusici, la prosodia, cioè la pronuncia regolare delle parole relativamente all’accento e al ritmo, rimane intatta. Studi condotti su gemelli omozigoti ed eterozigoti suggeriscono che l’amusia sia congenita e legata ad un gene recessivo, responsabile di un reale deficit della capacità di codificare le piccole variazioni di tono tipiche delle melodie ma non del parlato, dove le variazioni sono più grandi e più facilmente apprezzabili.Osservato con tecniche di neuroimaging, il cervello degli amusici mostra un minor addensamento in un punto specifico della materia bianca (al di sotto della corteccia, costituita da materia grigia). Quindi non si tratta di un problema nella corteccia auditiva. La capacità di riconoscere e rielaborare suoni è collegata a centri neuronali specializzati. Il cervello musicale si può quindi distinguere, secondo Peretz, da quella parte del cervello deputata al linguaggio. Là dove ci sono problemi cognitivi o funzioni cognitive non sviluppate, l’abilità musicale può essere ben presente e una certa competenza musicale viene osservata spesso in soggetti con altre deficienze. Esistono, per esempio, casi emblematici di persone con orecchio assoluto incapaci di cantare senza solfeggiare. Non è però semplice definire un centro per la musica: ci sono molte componenti legate alle capacità musicali in parti diverse del cervello. Gli amusici sono insensibili alle dissonanze, ovvero non percepiscono come “sbagliato” un insieme di suoni che si allontana dall’accordo comunemente accettato come “bello”. A sostegno dell’ipotesi di una base genetica, l’amusia è stata osservata anche in bambini molto piccoli, ma “la domanda se la musica sia innata è ancora troppo generica e lo studio dell’innatismo va fatto in modo accurato” afferma Peretz.Ci sono musico-etologi si occupano proprio di questo. Sono in corso studi che stanno cercando di capire se alla base delle capacità musicali vi sia un meccanismo simile a quello ipotizzato dal linguista Noam Chomsky per l’acquisizione del linguaggio. L’apprendimento, in questo caso, si baserebbe su un calcolo statistico di probabilità che il cervello è in grado di compiere già a pochi mesi. Secondo tale teoria, i bambini, così come imparano che è molto probabile che la sillaba “ca” sia seguita da “sa”, potrebbero sviluppare le loro abilità musicali in base agli intervalli più frequentemente ripetuti nelle melodie che ascoltano.

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