Storie di maternità negata

Patrizia Guarnieri (a cura di)
In scienza e coscienza. Maternità, nascite e aborti tra esperienze e bioetica
Carrocci 2009, pp.128, euro 15,60

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L’immagine di copertina è il disegno di una bambina e vorrebbe essere l’emblema di tutto il libro. L’autrice ha rappresentato il fratellino poco prima che nascesse dopo un parto difficile. A sua madre e a tanti altri genitori è dedicato “In scienza e coscienza”, una raccolta di nove saggi incentrati su maternità, nascite e aborti tra esperienze e bioetica. La curatrice, Patrizia Guarnieri, insegna Storia contemporanea all’Università di Firenze, è socia fondatrice della Società Italiana delle Storiche e fa parte del dottorato internazionale di storia delle donne e dell’identità di genere dell’Università di Napoli L’Orientale. “Aspettare un figlio”, ci dice nell’introduzione, “programmarlo o scoprirsi incinta, volerlo a tutti i costi, sentirsi non ancora o mai pronte, non volerlo, averlo voluto ma non così. In queste esperienze, che segnano la vita di tutti, le decisioni personali sono difficili da prendere e non scaturiscono automaticamente dal progresso biomedico, né dalle dottrine della Chiesa, né dagli ordinamenti giuridici”. Di qui la necessità di un approccio multidisciplinare, che è uno degli aspetti salienti di questa pubblicazione. Due storici, un bioeticista, un’antropologa, una neonatologa, un’ostetrica, un ginecologo, una demografa, una psicologa e un avvocato hanno contribuito alla composizione di un mosaico che ci restituisce un’immagine molto precisa della situazione italiana. Un lavoro di gruppo che, secondo la ben nota distinzione diltheyana, mira più a comprendere che a spiegare.

A parlare sono innanzitutto i numeri, sempre che li si sappia interpretare. La decrescita della natalità che dal 2005 si registra nel nostro paese, infatti, non va presa troppo ottimisticamente. Il divario tra maternità desiderata e maternità effettivamente realizzata è ancora molto alto, ci spiega Silvana Salvini in “Tra scelta e costrizione: comportamenti demografici e condizione femminile”. Famiglie forti e stato debole non sono certo le condizioni più favorevoli per diventare madre. In controtendenza rispetto alle altre nazioni europee, nel nostro paese si evidenza un legame negativo tra lavoro e fecondità: sono le donne che non lavorano a fare più figli. Questo e altri dati ci parlano delle difficoltà che sono soprattutto le giovani e le meridionali a dover affrontare. Uno dei grandi ostacoli alla maternità è rappresentato dal fatto che il carico di lavoro domestico e di cure parentali continua a gravare sulle donne in un contesto di disuguaglianza di genere che andrebbe corretto a partire dall’educazione scolastica.

Il tema dell’educazione viene sfiorato anche nel saggio “In attesa o inattesa? Desiderio e rifiuto di gravidanza nelle adolescenti”, dove scopriamo che in realtà i programmi formativi su affettività e sessualità sembrano non avere efficacia nel limitare il numero di gravidanze durante l’adolescenza. Cristina Pratesi, psicologa psicoterapeuta, ci fa entrare nel vivo delle problematiche in gioco raccontandoci un caso emblematico e non manca di riportare alcuni dati che forse non ci aspettavamo, come quello che l’Italia è uno dei paesi europei con maggiore incidenza di parti in età adolescenziale. Un’alta percentuale di questi, comunque, è dovuta alla massiccia presenza di straniere, su cui si sofferma il saggio conclusivo di Cristina Mazzacurati “Un affare da straniere? Emigrate, IVG e diritto alla salute”. Sono soprattutto le donne dell’est europeo ad abortire. Occorre però sfatare lo stereotipo della straniera dai facili costumi. L’interruzione volontaria di gravidanza tra le immigrate sembra più che un atto volontario, una scelta obbligata da condizioni d’incertezza materiale e psicologica.

E proprio il tema della volontarietà è il leitmotiv dell’intero volume, che sotto diversi punti di vista ribadisce un concetto fondamentale: la maternità non può essere considerata nell’ottica di una scelta individuale ma va rapportata a un quadro generale che comprende il mercato del lavoro, le politiche della famiglia, il sistema di genere, i fattori socioculturali e le norme giuridiche. La legge 194/1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza non ha certo risolto tutti i problemi. Anche qui i dati non interpretati possono trarre in inganno. Il recente aumento di aborti spontanei e quindi non regolamentati dalla legge, ci dicono Giuseppe Sciamone e Francesca Gaggioli, potrebbe in realtà nascondere un incremento degli aborti clandestini registrati come se fossero spontanei. È evidente che se le donne ricorrono a rimedi casalinghi e dosi massicce di farmaci per provocare aborti “spontanei” significa che il diritto effettivo all’aborto non è sufficientemente garantito.

Dei diritti dei bambini nati prematuri si è occupata la Carta di Firenze, di cui ci parla Maria Serenella Pignotti, che affronta, insieme al dramma dei genitori, il problema dell’aggressività delle cure cui sembrano destinati quei bambini “d’incerta vitalità” che al momento della nascita pesano tra 400 e 600 grammi. Per la filosofa Monica Toraldo di Francia, membro del comitato nazionale di bioetica, la decisione sulle cure dovrebbe spettare ai genitori. In ogni caso, e questo può essere considerato un altro leitmotiv del libro, occorre riflettere partendo dai vissuti concreti di sofferenza piuttosto che da principi astratti. E per farlo occorre innanzitutto storicizzare. La storia, del resto, riserva a volte qualche sorpresa. Emmanuel Betta sfata l’idea che in passato l’ostetricia abbia privilegiato la sopravvivenza del feto, informandoci che invece già dal Seicento esisteva una tradizione causistica in base alla quale il feto poteva essere considerato un aggressore dal quale la madre poteva tutelarsi per legittima difesa. Cambia profilo nel corso della storia anche l’infanticidio, che nell’Ottocento era punito con la pena capitale e che oggi è invece considerato un crimine minore per cui si possono scontare al massimo dodici anni di prigione. Ne parla Patrizia Guarnieri, che denuncia la “forzata analogia” tra infanticidio e interruzione volontaria di gravidanza, evidenziando le esasperazioni alimentate dal cosiddetto “fronte per la vita”.

A fine lettura abbiamo l’impressione che il dibattito su temi tanto delicati dovrebbe essere condotto “in scienza e coscienza”, vale a dire con la dovuta competenza e le dovute cautele, evitando di fare appello a principi astratti e prestando invece la massima attenzione ai casi umani concreti.

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