Terapia sotto controllo

Ci sono cellule nell’organismo umano che possono segnalare la presenza di un tumore. Come delle spie che si accendono quando la normale attività del corpo umano comincia a dare segni di alterazione. È il caso delle cellule endoteliali circolanti (CEC), scoperte da Francesco Bertolini, in forza all’istituto Europeo di Oncologia di Milano, diretto da Umberto Veronesi, qualche anno fa. La domanda che si pose Bertolini, un clinico oltre che uno scienziato, fu fin da subito: si possono usare queste cellule come “spie” di un tumore, e non solo, se applichiamo una terapia che combatta i vasi sanguigni parassiti la cui formazione è stimolata dal tumore, possiamo utilizzare le CEC per il “monitoraggio” della terapia? La risposta è si. E Bob Kerbel dello Women’s College Health Sciences Centre di Toronto e Francesco Bertolini lo dimostrano in uno studio appena pubblicato su Cancer Cell (la rivista oncologica a maggiore “impact factor”). La ricerca internazionale ha permesso di validare la misurazione delle cellule endoteliali circolanti mediante un semplice prelievo di sangue, come test surrogato di attività anti-angiogenica. I ricercatori hanno descritto, in modelli sperimentali, una sorprendente e stringente correlazione tra le CEC e i test classici di misurazione dell’angiogenesi (invasivi e dunque sconsigliabili per i pazienti). I laboratori di Toronto e Milano hanno riportato, quindi, come la misurazione delle CEC nel sangue periferico possa essere utilizzata per stabilire il dosaggio più efficace di farmaci anti-angiogenici contro la malattia neoplastica.L’angiogenesi è la formazione di nuovi vasi sanguigni a partire da altri preesistenti ed è un processo estremamente importante nello sviluppo embrionale, durante il ciclo mestruale e nella riparazione delle ferite. I vasi sanguigni sono rivestiti all’interno da cellule endoteliali, a contatto col sangue, e la loro struttura di piccoli tubi è completata da una matrice detta membrana basale, dalle cellule della muscolatura liscia, e infine dai periciti. Normalmente le cellule endoteliali non si moltiplicano e la vasculatura si mantiene in un processo di equilibrio. Due diverse condizioni patologiche chiamano in causa l’angiogenesi: i disturbi associati a una carenza nel riparare i vasi, come la difficoltà di riparare il danno cardiovascolare dei tessuti a seguito di ischemia, o quelle dovute a un eccesso di angiogenesi, come il cancro, le infiammazioni croniche tra cui l’artrite reumatoide, la retinopatia diabetica, la psoriasi e altre.I tumori usano l’angiogenesi per alimentarsi e crescere, non solo, anche per diffondersi nell’organismo e metastatizzare, motivo per cui a lungo gli scienziati e le ditte farmaceutiche si sono arrovellati su come bloccare l’angiogenesi per soffocare i tumori. Dopo alterni risultati, alcuni studi clinici incoraggianti hanno condotto gli interventi contro le cellule endoteliali attivate dei tumori, prima solo sperimentali, sempre più vicini alla prassi clinica. L’anticorpo monoclonale inventato dall’italiano Napoleone Ferrara, in California, presso Genentech, e chiamato Avastin o “Bevacizumab” è ora disponibile anche nel nostro paese, dopo un buon successo nelle neoplasie metastatiche del colon. C’è però un problema irrisolto connesso a questa nuova strategia di prendere i tumori per fame: si tratta di una terapia biologica, che necessita un trattamento cronico e come parametro di follow up non ci si aspetta una vera e propria “classica” riduzione del tumore, quanto piuttosto un blocco della sua espansione e della metastasi, con un allungamento della speranza di vita. L’anti-angiogenesi, come molte terapie di tipo biologico, comporta quindi un ulteriore sforzo della ricerca, quello di trovare dei cosiddetti “marker surrogati” che non siano quelli classici dell’oncologia, ma individuino alterazioni di parametri nel sangue o nel siero, che possano costituire una “testimonianza” che il trattamento è efficace. E la scoperta di Bertolini risponde proprio a questa esigenza. Per questi studi si prevedono importanti ricadute a livello clinico. La misurazione delle CEC nei pazienti affetti da cancro è simile alla tecnica di misurazione delle cellule staminali, con un apparecchio chiamato citofluorimetro, molto semplice e molto diffuso. Sono dunque in corso gli studi necessari a validare l’utilizzo della tecnica per il monitoraggio di terapie oncologiche basate sull’anti-angiogenesi. Una prima serie di risultati preliminari ha indicato che nelle pazienti con carcinoma della mammella trattate con terapia rivolta all’endotelio la comparsa in circolo di CEC “apoptotiche” (ovvero “morenti”) si associa a una sopravvivenza migliore per la paziente. Lo studio dell’équipe italiana, in collaborazione col Canada, riveste tale importanza e suscita tali aspettative in oncologia da essere stata accompagnata sulla stessa rivista Cancer Cell da un editoriale intitolato “Finalmente un marker surrogato per monitorare l’angiogenesi” a firma di uno dei più importanti ricercatori del campo, Peter Carmeliet, in Belgio. Aspettiamoci dunque a breve che un metodo innovativo per seguire l’anti-angiogenesi diventi una realtà di “routine” per molti centri oncologici.

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