La terra ha tremato ancora: un terremoto di magnitudo 6.0 alle 03:36 della mattina (01:36 Utc) del 24 agosto ha scosso l’Italia ed è stato avvertito da gran parte del centro del Paese. Una scossa, la principale, seguita da una sequenza sismica tra le province di Rieti, Perugia, Ascoli Piceno, l’Aquila, Teramo che al momento in cui scriviamo conta numerossimi eventi di magnitudo pari o maggiore di 3.0 (le segnalazioni sono continue), riferisce l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv). Accumoli, Amatrice, Arquata del Tronto i comuni più vicini all’epicentro della scossa maggiore, localizzato a una profondità di quattro chilometri. Dopo Colfiorito nel 1997, l’Aquila nel 2009, un altro terremoto colpisce il centro Italia. Una regione nota per l’alto rischio sismico. Perché?
Quello che stiamo osservando in questi momenti nell’Italia centrale è una sequenza del tutto normale, attesa sulla base dell’alta pericolosità sismica della zona appenninica.
Non possiamo ovviamente prevederne l’evoluzione ma quel che al momento possiamo dire è che non si tratta di nulla di sorprendente per la geologia e la sismicità della zona” spiega a Wired.it Andrea Tertulliani, direttore della sezione sismologia e tettonofisica per Ingv. Quella per intendersi segnalata in viola nelle mappe di pericolosità sismica: rischio alto. “Eccezionale è che le case continuino a crollare malgrado la conoscenza del rischio”, aggiunge.
L’Italia centrale è infatti una zona geologicamente molto attiva, dove, continua Tertulliani, si localizzano diverse faglie o strutture sismogenetiche attive. “Il movimento delle faglie per lunghi periodi può essere anche impercettibile, con terremoti di bassa magnitudo che danno origine a quella che chiamiamo come sismicità di fondo”, continua Tertulliani: “talvolta però il movimento si scarica con forza maggiore perché il tratto di faglia che si rompe è più grande”. E nella zona, oltre alla sismicità di fondo, anche i grandi terremoti sono attesi e noti, almeno dal Dodicesimo secolo.
Particolarmente nota la serie del Diciassettesimo/Diciottesimo secolo, con i terremoti del 1639, 1646 e 1703. “Quello del 1639 che distrusse Amatrice potrebbe essere considerato un gemello di quello che anche oggi ha colpito ancora la cittadina”, ricorda Tertulliani. “Il sisma odierno è stato particolarmente sentito perché avvenuto a una profondità ridotta, intorno ai quattro chilometri, e le onde sismiche non hanno avuto sufficiente distanza per attenuarsi”. Anche la profondità delle repliche sono state modeste, quasi tutte intorno ai dieci chilometri, spiegano dall’Ingv.
Come racconta a Wired.it anche Carlo Meletti, sismologo dell’Ingv e responsabile del centro di pericolosità sismica è un settore dell’Appennino che si muove molto velocemente: “Grazie ai dati del Gps sappiamo che che la velocità del movimento della catena in queste zone è molto alta”. In particolare, aggiunge Meletti, le faglie coinvolte sono delle faglie distensive: parte dell’Appennino si muove verso l’Adriatico, parte invece resta indietro, con l’effetto che l’Appennino stesso è come se si stesse lacerando, con abbassamento di alcuni settori. “Qualcosa di analogo a quel che è successo a Colfiorito e a L’Aquila”, aggiunge il sismologo: “Con le scosse che abbiamo registrato finora è possibile disegnare una sequenza che si estende per 25-30 chilometri lungo la catena appenninica che si allinea dalla scossa principale tendenzialmente verso Sud”.
Via: Wired.it
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