Terremoto in Emilia, dobbiamo aggiornare le mappe sismiche?

Una linea di circa 40 chilometri si disegna da est verso ovest, tra Modena e Ferrara. È la traccia lasciata dagli oltre 160 sismi che si stanno susseguendo da ieri mattina, da quando il terremoto di magnitudo 5,9 Richter ha devastato Finale Emilia. Ce ne saranno altri, e non è escluso che saranno di entità comparabili, come ha dimostrato la scossa avvertita ieri pomeriggio poco dopo le 15, di magnitudo 5,1. Eppure, sulla mappa della pericolosità sismica dell’Italia dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), le zone colpite risultano avere una pericolosità medio-bassa, vicine ad aree di pericolosità media. Significa che le stime – e la mappa – dovranno essere riviste?

“La mappa di pericolosità definisce la probabilità che in una data area si verifichino, in un intervallo di tempo, effetti sismici di entità uguale o superiore a un certo livello. La mappa è ottenuta sulla base delle conoscenze attuali ed è soggetta, per legge, ad aggiornamenti e modifiche ogni cinque anni, proprio per inserire nuovi dati e i risultati di nuovi studi e ricerche”, spiega Concetta Nostro, sismologa dell’Ingv, a Wired.it . “L’Italia è in continua deformazione, e tutto il territorio italiano è considerato sismico. Pericolosità medio-bassa vuol dire che i terremoti con magnitudo 5,5-6,0 sono possibili anche se poco frequenti. Significa che, in base ai dati storici, agli studi sui movimenti tettonici e sulla geologia, in quell’area non ci aspettiamo terremoti di magnitudo 7, come invece può accadere lungo l’arco calabro o in Irpinia. I terremoti come quello del 20 maggio non avvengono spesso in quell’area, infatti, gli altri due grandi terremoti che hanno interessato l’area padana si sono verificati parecchi secoli fa, nel 1570 e nel 1639, ed erano di energia comparabile”.

Secondo l’Ingv, quindi, il terremoto che ha colpito l’area ferrarese non sarebbe da ritenersi “anomalo”, ma del tutto “naturale”, così come gli scossoni che lo scorso gennaio avevano interessato Parma e Verona. Appare anche chiaro che non è semplice rispondere con un sì o con no alla domanda precedente. Di certo “la mappa di pericolosità deve essere aggiornata ogni cinque anni, e non è escluso che si saranno delle modifiche. È il nostro lavoro rivalutare e aggiornare costantemente in base ai nuovi dati o a nuovi esami dei dati storici, molto difficili da ricavare”, specifica la ricercatrice.

Ma cosa sta succedendo esattamente sotto l’area che circonda la pianura padana? Nulla di nuovo: esiste un sistema di faglie complesso in movimento. Si tratta di una serie di fratture causate dai continui processi di deformazione dovuti alla spinta tettonica della placca africana che preme da sud verso nord e comprime l’Italia, che fa parte della placca euroasiatica. Poiché questa è in realtà formata da microplacche diverse (quella sotto la pianura padana fa parte, in particolare, della microplacca adriatica), il paese si deforma in maniera differente da zona a zona, con entità anche molto diverse. Lungo l’arco calabro, per esempio, la deformazione è di circa 7 millimetri l’anno, mentre quella della microplacca adriatica sembra essere di 3-4 mm l’anno (le misurazioni in continua, tramite una Rete Gps, si eseguono da circa un decennio).

Detto questo, sia chiaro che la mappa dell’Ingv parla sempre di stime e previsioni probabilistiche e, soprattutto, che la “pericolosità” non è il “rischio“. “Quest’ultimo dipende dallo stato di conservazione delle strutture e degli edifici della zona esposta al pericolo. La mappa di pericolosità ha lo scopo di dare informazioni a chi deve progettare o ristrutturare le opere di edilizia, in modo che le costruzioni possano resistere alle sollecitazioni previste”, conclude Nostro. La capacità di prevedere se e quando potrebbe verificarsi un sisma serve infatti a poco se si costruisce senza le accortezze dovute in un paese fondamentalmente sismico.

da Wired.it

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