L’Emilia-Romagna sdogana i test fai da te. Quanto fidarsi?

Test rapidi
(foto: Guido Hofmann on Unsplash)

L’Emilia-Romagna è partita. Dal 19 gennaio 2022 nella regione è infatti possibile utilizzare i test Covid-19 fai da te per dare ufficialmente il via all’inizio dell’isolamento in caso di positività e alla sua fine in caso di negatività. Il chiaro intento dell’iniziativa – in questa prima fase da considerarsi sperimentale, con controlli random – è quello di semplificare la vita delle persone asintomatiche e di aiutare la sanità regionale ad effettuare più vaccini e meno tamponi, come ha spiegato l’assessore alle politiche per la salute Raffaele Donini. 

L’Emilia-Romagna è partita. Dal 19 gennaio 2022 nella regione è infatti possibile utilizzare i test Covid-19 fai da te per dare ufficialmente il via all’inizio dell’isolamento in caso di positività e alla sua fine in caso di negatività. Il chiaro intento dell’iniziativa – in questa prima fase da considerarsi sperimentale, con controlli random – è quello di semplificare la vita delle persone asintomatiche e di aiutare la sanità regionale ad effettuare più vaccini e meno tamponi, come ha spiegato l’assessore alle politiche per la salute Raffaele Donini. 

Verosimilmente questo consentirebbe di alleggerire il carico di lavoro per una attività, quella dei test appunto, indirizzandolo sull’altra, quella della prevenzione, anche indirettamente. Al momento, infatti, l’autotesting per ufficializzare la propria condizione è riservato unicamente alle persone che abbiano già effettuato la dose booster, anche se l’iniziativa potrebbe essere allargata anche a chi ha completato il ciclo vaccinale da meno di quattro mesi a breve.

Di fatto, pur considerando i limiti di applicazione della decisione emiliana e il suo carattere sperimentale, la regione ha dato il via a un cambiamento nella gestione della pandemia fondato soprattutto su due aspetti. Da un lato c’è un ulteriore sdoganamento dei test antigenici nella versione fai da te, da sempre considerati meno affidabili rispetto al gold standard, quello dei test molecolari con pcr, per diversi aspetti. Dall’altro c’è un forte affidamento sul senso di responsabilità dei singoli cittadini, non scontato.

L’affidabilità dei test antigenici

Uno dei nodi centrali della discussione è appunto l’affidabilità dei test utilizzati per il tampone. Parliamo di test antigenici rapidi, che nella versione classica mirano a identificare la presenza di antigeni virali (proteine) in campioni nasali, utilizzando degli anticorpi in grado di riconoscerli immobilizzati su un supporto. 

Sono test che dalla loro hanno diversi vantaggi indiscutibili, primi fra tutti la loro accessibilità, al netto di periodi critici come quello natalizio trascorso da poco, e la loro rapidità: nel giro di 15-30 minuti riescono a fornire delle risposte. Ma sono meno sensibili rispetto ai test molecolari come la pcr, soprattutto nei pazienti asintomatici, riassumeva solo qualche settimana fa un report dedicato dell’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc).

In realtà nella vasta offerta di test antigenici rapidi (qui una lista del Joint Research Centre della Commissione europea) esistono differenze notevoli. Molti di quelli disponibili sul mercato (ma non tutti) raggiungono livelli di sensibilità superiori al 75% per elevate cariche virali (la sensibilità è la probabilità di un test di identificare correttamente i soggetti malati). I risultati sono quelli che arrivano da un’analisi comparativa compiuta su diversi test antigenici rapidi disponibili, da poco pubblicata su Eurosurveillance (poche le corrispondenze tra i test inclusi nell’analisi e quelli approvati dalla regione Emilia-Romagna, ognuno con le proprie specifiche). 

Di recente però è stata sollevata la questione che a inficiare l’affidabilità dei test rapidi fossero anche le varianti: in particolare la diffusissima omicron sembrerebbe sfuggire più facilmente, a causa dell’elevato numero di mutazioni. Quanto sia accettabile o meno un simile livello di sensibilità dipende dal contesto in cui si opera e dalla disponibilità di test diagnostici. Qualche risposta l’aveva data sempre l’Ecdc al riguardo.

Quando utilizzare i test fai da te

I test rapidi sono abbastanza sensibili quando si tratta di intercettare pazienti con elevate cariche virali, e possono considerarsi abbastanza predittivi in contesti di elevata circolazione virale (come quella nella quale ci troviamo). In questo contesto possono di certo rappresentare un grande aiuto, consentendo rapidamente l’isolamento dei soggetti positivi. Anche laddove sia il paziente stesso ad effettuarsi il test o il prelievo, purché seguito da un professionista sanitario che ripeta o confermi il test. 

L’Ecdc al riguardo infatti è stata chiara, scrivendo: “Spostare la responsabilità della segnalazione dei risultati dei test dai professionisti sanitari e dai laboratori ai singoli cittadini potrebbe portare a una riduzione dei casi segnalati, e rendere misure come contact tracing, quarantene dei contatti e il monitoraggio della malattia nel tempo ancora più difficile. Mentre l’auto-test sotto la supervisione e un ulteriore test rapido effettuato in un laboratorio può essere una soluzione accettabile per un test certificato, i test antigenici effettuati da persone non istruite a farlo non dovrebbero essere utilizzati per rilasciare nessun certificato formale”. Tutt’altro invece accadrà con la sperimentazione dell’Emilia-Romagna, dove basterà un test auto-somministrato per avviare formalmente il periodo di isolamento e ottenere la certificazione della sua fine. 


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Le difficoltà del prelievo fai da te

Ma il problema del tracciamento non è l’unico quando si parla di auto-test. Accanto al rischio di perdere campioni utili per fotografare l’andamento della pandemia e l’emergere di eventuali nuove varianti – a parlare era sempre l’Ecdc, ben prima dell’esplosione dell’offerta dei test fai da te – l’altro nodo su cui battono gli esperti è l’efficacia del prelievo del campione. 

Sì, è vero, all’interno delle confezioni c’è una mini-guida che illustra come procedere (generalmente si tratta di inserire il tampone nasale per due-tre centimetri nelle narici, abbastanza in profondità ma senza farsi male) ma non è detto che basti ad assicurare un prelievo adeguato. Il tutorial messo a disposizione dall’Emilia-Romagna non si concentra sulle questioni tecniche di campionamento ma non è difficile trovare indicazioni online, come per esempio quelle del sistema sanitario britannico (che per inciso è diretto anche in questo caso agli asintomatici e invita tutti coloro che lo effettuano a riportare ogni tipo di risultato, positivo o negativo che sia). 

I momenti e le cose cui prestare attenzione sono: l’igiene delle mani e del luogo utilizzato per effettuare il test e il campionamento. Il tampone deve infatti essere infilato a dovere nelle narici (ma anche nella gola nelle indicazioni inglesi), dopo essersi soffiati il naso e aver eliminato il muco di troppo, abbastanza in profondità e ruotato alcune volte prima di essere posto nella soluzione per l’estrazione. 

Dopo un tempo di incubazione il liquido con il campione viene posto sulla cassetta, dove la comparsa di due linee – una nella zona riservata al controllo e una in quella di test, non importa quanto forte quest’ultima – indica la probabile positività a Covid-19. Se per l’iniziativa romagnola basta comunicare il risultato al sito della regione (a patto di rispondere ai requisiti: vaccinati con dose booster e asintomatici), che fare in tutti gli altri casi? Le indicazioni, anche da parte degli stessi produttori dei test, sono di procedere all’auto-isolamento e di contattare il proprio medico o le autorità sanitarie locali per ricevere indicazioni e procedere alla conferma di infezione con un test ufficialmente riconosciuto.

Via: Wired.it

Credits immagine: Guido Hofmann on Unsplash