Test nucleari, il caso Nevada

Il 5 aprile il Dipartimento dell’energia americano (Doe) ha annunciato che nei prossimi mesi, presso il Test Site del Nevada – il luogo dove per trent’anni gli Stati Uniti hanno condotto esperimenti nucleari sotterranei – verrà realizzata una serie di esplosioni “subcritiche”. Molti giornali italiani hanno riportato la notizia come una ripresa dei test nucleari americani, anche se il Trattato di non proliferazione firmato nel settembre dell’anno scorso (ma non ancora in vigore) proibisce tutti gli esperimenti di questo tipo, compresi quelli sotterranei. Gran parte dei nostri commentatori ha quindi fatto una certa confusione fra ciò che è un’esplosione nucleare e ciò che non lo è, traendone in qualche caso conclusioni “politiche” abbastanza avventate.

Gli esperimenti “subcritici” programmati in Nevada non possono essere considerati test nucleari veri e propri, e dunque non violano il trattato. Un’esplosione nucleare, infatti, si verifica quando, entro una massa di materiale fissile (plutonio o uranio altamente arriccchito) compressa da un’esplosione convenzionale al di là di un certo limite “critico”, si innesca una reazione a catena, nella quale il numero neutroni liberi cresce in modo esponenziale e provoca la fissione di altrettanti nuclei di uranio o plutonio. Questo processo libera grandi quantità di energia in un tempo brevissimo.

Una “piccola” esplosione nucleare libera la stessa energia di qualche centinaio o migliaio di tonnellate di dinamite. Questa può essere ridotta notevolmente solo se la reazione a catena viene interrotta subito dopo il suo inizio, in quelli che sono chiamati esperimenti “idronucleari”. Anche questi ultimi, comunque, coinvolgono reazioni nucleari, e pertanto sono vietati dal trattato sui test ,sebbene durante i negoziati gli Stati Uniti avessero tentato di escluderli dalla proibizione.

In un test “subcritico”, invece, l’esplosione convenzionale non è sufficiente a innescare la reazione a catena nel materiale fissile, e quindi non ha luogo alcuna reazione di fissione nucleare non “spontanea”. Qual è allora lo scopo di questi test? Ufficialmente, i responsabili del Nevada Test Site e del Doe, sostengono di voler verificare che l’invecchiamento delle armi nucleari americane – e in particolare degli esplosivi, nucleari e convenzionali, che ne costituiscono il “cuore” – non ne pregiudichi l’affidabilità e la sicurezza. In altre parole, si intende verificare che il plutonio “invecchiato” reagisca correttamente nelle condizioni di alte pressioni e temperature che seguono l’esplosione convenzionale. E si vuole essere certi di poter sostituire componenti delle testate, o di poter usare nuove tecnologie nel loro assemblaggio, senza comprometterne il funzionamento.

Questa spiegazione, però, solleva qualche dubbio. Se le cose stanno così, come mai le altre potenze nucleari non hanno (almeno per ora) un programma di test subcritici? E come mai le esplosioni sono state programmate nei tunnel a 300 metri di profondità della cosiddetta “Low-Yield Nuclear Experimental Research Facility”, costruita originariamente per ospitare test idronucleari, e non in appositi contenitori in superficie già usati a Los Alamos per esperimenti simili, e in corso di perfezionamento?

Il fatto che le esplosioni siano sotterranee è preoccupante dal punto di vista della verifica del rispetto del trattato sui test nucleari. E’ possibile infatti usare rivelatori sismici per scoprire, anche a grande distanza, che un’esplosione sotterranea sia avvenuta in una certa località. Ma questa tecnica non può rilevare esplosioni di bassa potenza, come i test idronucleari e neppure i satelliti da sorveglianza possono distinguere un test sotterraneo subcritico (lecito) da uno idronucleare (proibito).

D’altra parte, i test idronucleari non potrebbero venir realizzati in superficie in condizioni di sicurezza, perché è difficile prevedere esattamente la potenza dell’esplosione. Pertanto, se i test subcritici avvenissero in superficie, non vi sarebbe alcuna ambiguità. Di fronte a test sotterranei, invece, gli altri paesi firmatari del trattato possono con qualche ragione mettere in dubbio che gli Stati Uniti vi si attengano completamente. Anche perché il governo americano ha chiarito ufficialmente che intende mantenere la possibilità di condurre in futuro dei veri e propri test nucleari, oggi proibiti dal trattato, se i “supremi interessi nazionali” lo richiedessero.

Questo atteggiamento pone però un serio problema politico. Il trattato sui test nucleari è stato oggetto di aspre discussioni, ed è stato osteggiato da vari paesi che hanno rifiutato di aderirvi: in primo luogo l’India, che ha condotto un test nucleare, definito “pacifico”, nel 1974. Questi paesi dubitano del fatto che le potenze nucleari “ufficiali” siano intenzionate a procedere seriamente sulla via del disarmo nel prossimo futuro. In queste condizioni, insomma, il trattato rafforzerebbe un regime di non-proliferazione percepito come discriminatorio.

Il fatto che gli Stati Uniti non abbiano chiuso definitivamente il Nevada Test Site (a differenza, per esempio, della Francia, che sta smantellando il poligono di Mururoa) e anzi abbiano programmato per esso nuove attività sperimentali sotterranee collegate, seppure in modo indiretto, alle armi nucleari, costituisce un esempio e un messaggio negativo per gli altri paesi.

In realtà, almeno in parte, i test subcritici americani sembrano rispondere a una logica molto diversa da quella puramente militare o di politica internazionale. Lo Stato del Nevada e la sua delegazione al Congresso hanno premuto con forza affinché il Test Site – che impiega tuttora 3500 persone, nonostante i tagli seguiti alla sospensione dei test nel 1992 – non venisse chiuso definitivamente.

Rispondendo a queste pressioni, nel 1995 il Doe ha stanziato 1,5 miliardi di dollari per la Bechtel Nevada Corporation, che gestisce e opera il Test Site: e gli esperimenti subcritici (che costano circa 20 milioni di dollari l’uno) rappresentano uno degli aspetti centrali dell’attività prevista fino al 2000. Dopo l’annuncio sul programma di test subcritici, i due senatori del Nevada hanno dichiarato che grazie a essi “l’occupazione al Test Site verrà incrementata”. Questo potrebbe anche spiegare perché gli esperimenti non vengano realizzati in superficie a Los Alamos, dove le apparecchiature necessarie esistono già.

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