Omicron, la variante potrebbe sfuggire ai test nasali

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(Foto: Mufid Majnun on Unsplash)

La variante omicron di Covid-19 potrebbe essere più difficile da individuare con i test antigenici rapidi, specie quelli nasali, mentre sarebbe più facilmente rilevabile con campioni salivari provenienti dalla faringe. È quanto suggerisce uno studio a cura di diverse università statunitensi, disponibile in preprint (che, ricordiamo, deve essere ancora sottoposto al processo di revisione tra pari) e condotto su un piccolo campione di persone vaccinate risultate positive a Covid-19 durante l’impennata di contagi dovuta a omicron. Secondo la ricerca, infatti, i test rapidi che utilizzano solo i tamponi nasali potrebbero non rilevare la variante nei primi giorni dell’infezione, facilitando la trasmissione dei contagi.

A poco più di un mese dalla sua designazione, omicron rappresenta la variante prevalente in molti paesi del mondo, e progressivamente emergono nuove conoscenze a riguardo: per esempio sono in corso diversi studi volti a stabilire la sensibilità dei test rapidi (i cosiddetti antigenici, che, per il loro costo contenuto, la facilità di esecuzione e la velocità con cui si ottengono i risultati rappresentano lo strumento più utilizzato per lo screening dei casi di Covid-19) nei confronti della nuova variante. In particolare, la Food and drug administration (Fda) si è recentemente espressa sull’uso dei test rapidi per individuare le infezioni da omicron: come si legge in una nota aggiornata il 28 dicembre scorso, secondo l’ente regolatorio statunitense i test rapidi potrebbero essere meno sensibili nell’individuare omicron, dando luogo a maggiori falsi negativi. La ragione probabilmente risiederebbe nel numero di mutazioni che possiede il genoma di omicron, nettamente superiore a delta e alle precedenti varianti di Sars-cov-2. 

In più, uno studio condotto su campioni di tessuto respiratorio ha evidenziato come la nuova variante sembri infettare più velocemente ed efficientemente i bronchi umani rispetto ai polmoni, che si tradurrebbe in una maggior presenza di mal di gola tra i sintomi e una minor frequenza della perdita del gusto e dell’olfatto, oltre che a una presenza più diffusa del virus nella saliva rispetto alla mucosa nasale. Alla luce di queste conoscenze preliminari, quindi, l’obiettivo dello studio statunitense era individuare un’eventuale discrepanza, in una piccola coorte di pazienti vaccinati, tra i risultati dei test rapidi con tampone nasale e i test molecolari effettuati con campioni di saliva, soprattutto durante il primo periodo dell’infezione.


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Lo studio

Lo studio ha coinvolto 30 partecipanti, tutti vaccinati con dose di richiamo, provenienti da cinque diversi luoghi di lavoro a New York, Los Angeles e San Francisco e che hanno avuto Covid-19 tra l’1 e il 31 dicembre 2021, nel pieno dell’aumento dei contagi imputabile a omicron. I ricercatori hanno analizzato i test antigenici effettuati con tamponi nasali, confrontandoli con i test molecolari della saliva, eseguiti con tamponi faringei: secondo i dati dello studio, 28 partecipanti sono risultati infetti dalla variante omicron di Sars-cov-2, ma per alcuni di essi i test rapidi non sono stati in grado di rilevarlo nelle prime 24-48 ore dell’infezione. In cinque partecipanti, infatti, lo studio indica che le particelle virali contenute nella saliva hanno raggiunto il picco di concentrazione da uno a due giorni prima di essere rilevate da un test rapido nasale. 

Non solo: in quattro partecipanti è stata anche confermata la trasmissione del contagio proprio durante i giorni in cui, secondo i test rapidi, risultavano negativi. “Abbiamo scoperto che i test rapidi antigenici ritardano nella capacità di rilevare Covid-19 durante un primo periodo di malattia, quando la maggior parte degli individui è infettiva con la variante omicron”, si legge nell’articolo. Quanto trovato dai ricercatori, quindi, sarebbe coerente con gli studi epidemiologici di omicron, che mostrano intervalli più brevi tra l’insorgenza di nuovi casi e tassi più rapidi di diffusione all’interno della popolazione generale, anche di vaccinati. Pertanto, i risultati – che, ricordiamo, devono ancora essere confermati – metterebbero in guardia sull’affidabilità dei test rapidi nasali nell’ambito dello screening di routine sul posto di lavoro, soprattutto per prevenire la diffusione di omicron nei primi giorni dell’infezione. 

Test salivari, i dati da confermare

Tuttavia una maggior sensibilità dei tamponi salivari nei confronti della nuova variante deve essere ancora confermata. Oltre a questo lavoro, uno studio sudafricano, anch’esso in preprint, ha mostrato che l’uso di tamponi faringei per i test molecolari ha rilevato tutte le infezioni di Covid-19 relative alla variante omicron, ma solo il 71% delle infezioni da delta; i tamponi nasali, invece, rilevavano il 100% delle infezioni di delta ma l’86% delle infezioni da omicron. Oltre ai dati scientifici, seppur preliminari, in rete si sono moltiplicati i racconti aneddotici di persone (come si può leggere in questo thread di Twitter) che, effettuando un test rapido casalingo con un tampone faringeo in aggiunta a quello nasale, sono riuscite a rilevare l’infezione da Sars-cov-2 con maggior facilità. 

Per il momento, comunque, non ci sono dati sufficienti per giustificare l’uso di tamponi faringei al posto di quelli nasali. Inoltre l’Fda ha recentemente sottolineato, in una dichiarazione alla Nbc, che i test rapidi effettuati in casa grazie a kit fai-da-te devono essere eseguiti secondo le istruzioni riportate dal produttore, in quanto l’auto-raccolta dei campioni faringei è più complicata e potrebbe causare danni e lesioni alla mucosa, nonché la contaminazione dei campioni stessi.

Via: Wired.it

Credits immagine: Mufid Majnun on Unsplash