Un trapianto fecale per ringiovanire, possibile?

trapianto fecale
(Foto: geralt via Pixabay)

Il microbiota è pop, sia per l’enorme quantità di studi effettivamente che si stanno accumulando in materia, sia per la complicità talvolta del marketing e dei media. Le ultime ricerche sul tema promettono di renderlo ancora più pop: pare infatti che trasferendo il microbiota da topi giovani a topi più anziani alcuni segni dell’invecchiamento possano essere invertiti. Sì, parliamo di trapianto fecale. 

Il microbiota tra promesse e realtà

Tecnicamente si parla di trapianto fecale quando ci si riferisce al trasferimento di microbiota da un donatore a un ricevente; è una procedura medica. Quello che si fa è prelevare le feci da un donatore, trattarle e poi reinserirle (tramite clistere o colonscopia generalmente) in un altro paziente per ristabilire in questo un equilibrio benefico. È un trattamento a oggi indicato in caso di infezioni dal batterio Clostridium difficile che non rispondono ai trattamenti antibiotici, ma studiato anche in caso Crohn, obesità o Parkinson, come raccontavamo. È uno di quei campi della ricerca in tema gastro particolarmente vivi, come vivi sono i componenti del trapianto che si va a effettuare. Il microbiota infatti altro non è che una comunità di microrganismi – a miliardi, tra virus, funghi e batteri – che colonizza il sistema digerente, alterata o semplicemente diversa in alcuni condizioni. La convivenza con questa moltitudine di microrganismi non può che influenzare la nostra salute, considerato come i microbi che la costituiscono partecipano all’assorbimento dei nutrienti, al funzionamento del sistema immunitario, alla produzione di vitamine ma anche il comportamento e alcuni aspetti cognitivi, secondo l’ipotesi dell’asse intestino-cervello. Ma se facessero anche altro, o se in virtù delle funzioni già note, riuscissero a fare altro, per esempio combattere l’invecchiamento?


Scoperte due connessioni “veloci” tra intestino e cervello


L’ipotesi

L’idea che un trapianto fecale possa incidere sull’invecchiamento, o meglio su segno correlati all’invecchiamento – non parliamo di topi che tornano improvvisamente giovani, per intendersi – circola già da un po’. Ha a che fare con alcune considerazioni, come ci ricorda oggi il team dei ricercatori britannici guidato dalla University of East Anglia, autore dell’ultima scoperta sul tema, il ringiovanimento post-trapianto fecale. Quando si invecchia, scrivono su Microbiome, anche il microbiota cambia, per struttura e funzione, influenzando negativamente il metabolismo e il sistema immunitario. E questi cambiamenti si associano alla comparsa di condizioni, come i problemi neurologici e malattie cardiovascolari, associati all’età. Che si possa cambiare anche il corso degli eventi, di questi, cambiando il microbiota? Può contribuire a ringiovanire l’organismo? Si parla dopo tutto di associazioni, e in scienza il motto per cui correlation is not causation è ben noto: non è detto che i batteri & co alterati siano la causa (o una delle cause) dei cambiamenti osservati. 

Trapianti fecali che “ringiovaniscono”

Qualche tempo fa un team italiano, in cui compare anche un autore del nuovo studio, aveva mostrato che trasferendo il microbiota da topi vecchi a topi più giovani questi ultimi invecchiavano, almeno da un punto di vista cognitivo (inteso come abilità di apprendimento spaziale e memoria). E vale anche il contrario: topi vecchi cui si trapianta il microbiota di animali più giovani migliorano in termini di apprendimento e memoria spaziale, come ha mostrato una ricerca dello scorso anno su Nature Aging. 

Stavolta l’équipe della East Anglia ha condotto trapianti fecali bidirezionali – da giovani a vecchi, e da vecchi a giovani – per vedere se come ne venissero influenzati intestino, occhi e cervello, con analisi di laboratorio e test comportamentali. Per massimizzare l’efficacia del trapianto i riceventi sono stati sottoposti prima a trattamento antibiotico. Quanto visto è stato questo: quando il trapianto era da animale maturo ad animale giovane aumentavano i segni legati all’infiammazione, in particolare a livello della retina e del cervello e si osservava la perdita di integrità della barriera epiteliale intestinale. In senso contrario – da giovane a maturo – i segni dell’infiammazione legati all’invecchiamento negli stessi organi e tessuti si invertivano. Contestualmente si osservava un arricchimento dei batteri considerati benefici (come Bifidobacterium animalis e Akkermansia muciniphila). Tutti questi cambiamenti si accompagnano anche a modifiche nel metabolismo di acidi grassi e vitamine che potrebbero aver un ruolo. Quanto osservato – scrivono i ricercatori – suggerisce che un microbiota vecchio (e alterato) contribuisca all’infiammazione e che prenderlo di mira (terapeuticamente) possa aiutare a combatterla, così come a combattere il declino funzionale associato all’età. Magari senza ricorrere a trapianti fecali, come si augura Aimee Parker del Quadram Institute, prima autrice del paper: “Speriamo che quanto osservato possa da ultimo aiutarci a comprendere come possiamo modificare la nostra dieta e i batteri intestinali per massimizzare i benefici di salute in età avanzata”. Grazie a nuovi studi certo, per capire se i risultati osservati si mantengano nel tempo e si traducano in benefici reali per l’invecchiamento e le funzioni che si perdono negli anni, non solo insomma di marcatori. Negli animali e nell’uomo, ove possibile. 

È probabile dunque che sentiremo ancora parlare di trapianti fecali e ringiovanimento, anche solo come strumento per capire quali sono i target ai quali mirare alla ricerca di un sano invecchiamento. E non solo di trapianti fecali forse: nelle scorse settimane, infatti, è arrivata la notizia, su Nature, che trapianti di fluido cerebrospinale da topi giovani a topi più vecchi miglioravano la memoria di quest’ultimi, probabilmente stimolando la capacità rigenerativa di alcune cellule del sistema nervoso. Anche qui: lo scopo non è trapiantare il liquido cerebrospinale – parte stessa del sistema nervoso – ma capire se esistono target su cui agire per rallentare l’invecchiamento o in caso di malattie neurodegenerative

Via: Wired.it

Credits immagine: geralt via Pixabay