Tre mosse per attirare la ricerca biotech

Il biotech italiano soffre, così come altri comparti industriali. Ma cerca di trovare soluzioni per uscire dalla crisi. L’ultima in ordine di tempo è un accordo firmato da Assobiotec, l’associazione che riunisce le imprese che operano in questo settore, l’Istituto Superiore di Sanità e l’Agenzia Italiana per il Farmaco. Obiettivo: incentivare le aziende italiane e straniere a condurre le fasi precoci di sperimentazione nel nostro paese. Ne abbiamo parlato con Leonardo Vingiani, direttore Assobiotec, a margine dell’incontro “Comunicare le biotecnologie e l’innovazione in Italia”.

Dottor Vingiani, cominciamo a descrivere il panorama delle biotech italiane che operano nel campo della salute.

“In Italia ci sono 238 aziende, di cui 142 biotech “pure”, attive nell’area delle biotecnologie per la salute, per un totale di 319 prodotti in fase di sperimentazione: 80 in fase preclinica, 43 in fase I, 98 in fase II e altrettanti in fase III. Con un aumento del 35% rispetto all’anno scorso. I prodotti delle cosiddette pure biotech sono 138, nessuno dei quali ha ancora raggiunto la fase di immissione in commercio, anche se numerosi sono i farmaci arrivati alla fase III. Complessivamente si tratta di un’area molto dinamica che l’accordo siglato con Iss e Aifa contribuirà a sostenere”.

In cosa consiste questo accordo?

“In un triplice impegno. Da parte dell’Iss a non richiedere la tariffa per l’esame della domanda di sperimentazione di fase precoce a tutte le imprese che non hanno farmaci in commercio. Perché si tratta di aziende che stanno costruendo il proprio futuro adesso e l’Iss decide di aiutarle in questo modo. L’Aifa, invece, si impegna a concedere un percorso accelerato nella fissazione del prezzo di rimborso a tutte le imprese che hanno svolto la fase di sperimentazione precoce in Italia. In questo modo la ricerca italiana è incentivata a rimanere nel paese e si attira ricerca dall’estero. L’Aifa concede un vantaggio che non costa nulla ai cittadini e al paese, ma che dà qualcosa a chi ha investito in Italia e cioè un “time to market”, la possibilità di andare sul mercato, con qualche settimana/mese di anticipo. Anche questo può essere decisivo in un’area dove la protezione intellettuale dura poco perché troppo tempo viene impiegato prima per la messa a punto del farmaco”.

Qual è invece l’impegno di Assobiotech?

“Quello di promuovere queste opportunità sia presso le aziende italiane sia presso quelle straniere. E di agire in modo che aumentino gli investimenti in Italia. Assobiotech è convinta di poter ottenere un aumento del 30% delle sperimentazioni di fase precoce in Italia. L’unico ostacolo che vedo è quello dei tempi di approvazione delle sperimentazioni da parte dei comitati etici e dei direttori sanitari”.

Perché è così importante puntare sulle fasi precoci di sperimentazione?

“La fase I e II servono a individuare la sicurezza del prodotto e i primi dati sull’efficacia: sono fasi decisive per capire se l’investimento deve continuare. Se così fosse, e queste prime fasi fossero condotte in Italia, l’azienda troverebbe qui il luogo ideale per continuare a gestire la sperimentazione: il nostro sistema sanitario è pervasivo, abbiamo più di 60 milioni di assistiti, e il mercato è importante. Prova ne è il fatto che molti studi di fase III già coinvolgono centri italiani. Finora i tempi di valutazione più lunghi rispetto a quanto avviene in altri paesi scoraggiavano le aziende, ma ora questi incentivi convoglieranno sull’Italia non solo investimenti e risorse ma anche conoscenza e valore”.

Credits immagine: kaibara87/Flickr

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