Categorie: Salute

Un elettrodo contro la depressione

Un elettrodo impiantato nel cervello, capace di stimolare i circuiti neuronali e limitare i sintomi della depressione. Fino a due anni dopo l’inizio della terapia. Sono questi i risultati raggiunti da Helen Mayberg della Emory University in Atlanta (Georgia) e del suo team di ricerca, pubblicati su Archives of General Psychiatry. I primi a mostrare come la stimolazione elettrica del cervello riesca, a lungo termine, là dove le terapie tradizionali – farmacologiche e cognitive – contro la depressione profonda spesso falliscono. Anche se non si tratta ancora di una cura, precisano gli scienziati. 

“Uno dei maggiori traguardi raggiunti negli ultimi dieci anni è stato capire che la depressione è una malattia che colpisce i circuiti cerebrali”, ha spiegato a Nature News Thomas Schlaepfer, psichiatria dell’Università di Bonn, in Germania, che ha condotto ricerche simili a quelle svolte dai ricercatori statunitensi. Ma senza ottenere gli stessi risultati a lungo termine.

La differenza tra i due team riguarda i siti di stimolazione del cervello: i ricercatori tedeschi hanno impiantato degli elettrodi a livello del nucleus accumbens, mentre il gruppo di Atlanta li ha inseriti a livello dell’ area subcallosa del giro del cingolo. Entrambi, però, fanno parte dello stesso circuito cerebrale. L’idea alla base dello studio dei ricercatori statunitensi era quindi di agire su un target diverso da quello del team di Shlaepfer, ma che colpisse comunque lo stesso bersaglio, analizzando gli effetti su un lungo periodo di tempo.

Per farlo, gli scienziati hanno reclutato 17 pazienti: 10 con disturbi depressivi maggiori, 7 affetti da disturbi bipolari, ai quali sono stati installati degli elettrodi nell’area subcallosa del cingolo (per effettuare una stimolazione profonda del cervello). Per escludere quindi un possibile effetto placebo, gli scienziati hanno fatto credere ai partecipanti che solo metà di loro avrebbe ricevuto la stimolazione immediatamente dopo l’intervento, gli altri invece avrebbero dovuto aspettare 4 settimane. In realtà nessuno di loro ha ricevuto la stimolazione e i ricercatori, osservando i risultati, hanno potuto escludere eventuali effetti placebo dovuti all’inserimento degli elettrodi. Nessuno aveva infatti ottenuto miglioramenti.

Quando invece è cominciata la sperimentazione vera e propria, i ricercatori hanno osservato che dopo due anni di stimolazione continua, in undici dei dodici pazienti arrivati alla fine dell’intero ciclo, la terapia ha eliminato o limitato a sintomi lievi i comportamenti depressivi. Sia nei pazienti con disturbi depressivi maggiori che quelli con disturbi bipolari. Non in tutti i casi, comunque, gli effetti del trattamento hanno cominciato a manifestarsi immediatamente dopo la stimolazione, a volte sono comparsi solo dopo un anno.

Tuttavia, prima dello sviluppo di una terapia antidepressiva basata sull’utilizzo degli elettrodi bisognerà aspettare ancora del tempo. In primo luogo infatti, precisano i ricercatori, malgrado i risultati positivi ottenuti sul lungo termine dal team di Atlanta, non si può parlare ancora di una cura: i sintomi compaiono di nuovo se la stimolazione è interrotta. E poi, come spiega Schlaepfer, bisogna ancora capire dove è meglio colpire: “Stiamo ancora cercando il bersaglio ottimale all’interno del circuito neuronale, così che il recupero possa essere più veloce per i pazienti”.

Via Wired.it

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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  • Questo trattamento è stato utilizzato per i pazienti con depressione resistente al trattamento e si sta utilizzando anche negli ospedali italiani per il morbo di Parkinson, e un pò meno per quanto riguarda le altre patologie psichiatriche, probabilmente non c'è personale in grado di utilizzarlo!

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