Un solo timbro per l’export

Un controllo serrato e trasparente del commercio internazionale di armi che ha reso la legge italiana tra le più avanzate in Europa. E che adesso rischia di sfumare dietro un provvedimento di riforma, il ddl 1927, ispirato dalla lobby dei produttori di armi. Ci aveva provato senza successo il governo D’Alema, ma oggi con una nuova veste il provvedimento ha ottenuto l’approvazione delle Commissioni Esteri e Difesa, e tra qualche giorno passerà all’esame dell’aula parlamentare. Con il governo Berlusconi, la legge n.185 del 1990, quindi, potrebbe essere radicalmente modificata. Nel frattempo però un cartello formato da alcune organizzazioni non governative italiane sta portando avanti la protesta: il primo appuntamento per decidere il calendario delle iniziative è fissato per lunedì prossimo. Intanto sul sito di Vita, che raccoglie diverse associazioni impegnate nel terzo settore, è già possibile aderire alla campagna: “Io difendo la 185 del 90”.

“Il Parlamento dovrebbe chiedere la piena applicazione della legge 185/90 invece di modificarne il testo”, ha raccontano a Galileo Marco Bertotto, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International. Il provvedimento che colloca l’Italia tra i paesi meno coinvolti nel riarmo di nazioni instabili quali ex – Jugoslavia, Iraq e Afghanistan, ancora oggi non è stato pienamente applicato. Il perché lo spiega Bertotto: “la relazione presentata annualmente in Parlamento su destinazione e provenienza delle armi non fa luce su tutti i traffici”. Nella direzione opposta però si muove il decreto legislativo 1927: ufficialmente viene giustificato con l’obiettivo di integrare l’industria europea degli armamenti, ma, in pratica, dà agli industriali una sorta di delega in bianco per realizzare coproduzioni di armi. Il decreto infatti si chiama ‘Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento’ e si propone di ratificare quanto previsto dall’accordo quadro sulle misure per facilitare la ristrutturazione e le attività per la difesa europea’ firmato da Italia, Francia, Gran Bretagna, Svezia, Spagna e Germania. In realtà la soluzione prevista dal disegno di legge è tutta italiana e va oltre le intenzioni dell’accordo, strizzando un occhio all’industria delle armi.

Sotto accusa è l’articolo 7 – che sancisce la cosiddetta autorizzazione globale di progetto – e la estende a tutti i paesi Nato e Ue. Così recita il testo: l’autorizzazione “viene rilasciata a singolo operatore quando riguarda esportazioni, importazioni o transiti di materiali di armamento svolti con imprese di Paesi membri della Ue o della Nato”. Basta quindi un’unica autorizzazione, e non quelle dettagliate oggi previste, per esportare pezzi e componenti di armi. Per non parlare del fatto che saranno possibili accordi anche con paesi che hanno adottato una politica del commercio di armi permissiva, se non dubbia. Basti pensare agli Stati Uniti o alla Turchia. Parte delle esportazioni di armamenti – secondo quanto prevede il ddl – potrebbe scomparire così dal controllo degli organi parlamentari, della stampa e dell’opinione pubblica. E lo stesso vale per il monitoraggio sul tipo di armi esportate, le imprese e le banche coinvolte e i paesi destinatari. Nel caso del materiale coprodotto, il governo dovrebbe essere informato solo sulla destinazione intermedia delle armi e non su quella finale, favorendo così le cosiddette triangolazioni tra i produttori. “Già oggi più del 50 per cento della produzione italiana d’armi è una coproduzione con altri paesi europei”, spiega Bertotto. ” Le triangolazioni hanno spesso rappresentato una scappatoia per sfuggire alle leggi nazionali, troppo rigide per le esigenze dell’industria. Ma in futuro, se il testo venisse modificato vedremmo sicuramente lievitare queste cifre”.

Insomma se la legge dovesse passare il quadro del commercio di armi in Italia assumerebbe tinte fosche. Considerando che nemmeno adesso una normativa rigida è sufficiente a bloccare il commercio di armi italiano con paesi che non rispettano i diritti umani. “Esistono dei casi noti”, aggiunge il direttore di Amnesty Italia “paesi come la Turchia, l’Etiopia e l’Indonesia, sono stati riforniti grazie alle coproduzioni italiane”. Per le armi fabbricate da più paesi è difficile ricostruire tutta la catena produttiva. E d’altra parte il nuovo testo della legge non sembra averne nessuna intenzione, andando addirittura oltre i principi stabiliti dall’accordo quadro e offuscando le garanzie presenti in quel testo. Risultato: contrariamente alle intenzioni dichiarate, ci stiamo allontanando dall’idea di una politica estera e di sicurezza comune. Per difendere la legge 185 del 90 è iniziata una campagna sul Web. Ecco il link per aderire: http://web.vita.it/185/.

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