Un teschio per due specie

Un piccolo teschio risalente a più di 900 mila anni fa riaccende il dibattito tra paleoantropologi. Il reperto fossile è stato rinvenuto in Kenya nel sito di Oloresailie, a circa 90 chilometri da Nairobi, da un team della Smithsonian Institution di Washington (Usa) guidato da Richard Potts. Si tratta del lobo frontale, del lobo temporale sinistro e di altri nove frammenti di una scatola cranica di dimensioni molto ridotte. L’epoca alla quale risalirebbe il reperto, compresa tra 900 e 970 mila anni fa, porterebbe a classificarlo come un teschio di Homo erectus, nonostante sia molto più piccolo di tutti quelli rinvenuti finora. La scoperta, che risale all’estate scorsa, è stata ora illustrata dai ricercatori su Science, scatenando subito la discussione.Jeffrey Schwartz dell’Università di Pittsburgh è convinto che il cranio rinvenuto da Potts e colleghi non appartenga a H. erectus, ma a una specie diversa vissuta nello stesso periodo. Il paleontologo, in un commento pubblicato sullo stesso numero di Science, invita a rivedere criticamente l’attuale sistema di classificazione degli ominidi rigidamente basato sulla datazione dei reperti: caratteristiche morfologiche differenti potrebbero essere ricondotte, infatti, a specie diverse coesistite con H. erectus.Non è dello stesso parere Tim White, antropologo di fama mondiale dell’Università di Berkeley (California), il quale ritiene che i frammenti ritrovati da Potts possano derivare dal cranio di una femmina adolescente di H. erectus, suggerendo l’esistenza di un dimorfismo sessuale (cioè la presenza di caratteri morfologici differenti nei due sessi di una stessa specie animale) anche per questa specie, analogamente a quanto accade, per esempio, per i gorilla. Come White, molti paleoantropologi riconoscono H. erectus come un’unica specie, originatasi in Africa e diffusasi prima in Asia e poi in Europa, dalla quale si è arrivati fino a Homo sapiens attraverso un processo di evoluzione anagenetica, cioè graduale.Potts prende le distanze dal dibattito ed evita di dare un nome al suo fossile, anche se ammette l’esistenza di molte analogie morfologiche tra il cranio rinvenuto a Oloresailie e quello di H. erectus. Nelle vicinanze dei frammenti ossei, inoltre, sono state ritrovate asce a mano risalenti al Paleolitico acheuleano: questi strumenti, tipicamente associati all’H. erectus, sono apparsi decisamente sovradimensionati rispetto al cranio fossile, il che suggerirebbe che siano state costruite da individui più robusti della stessa popolazione. Secondo Potts potrebbe effettivamente trattarsi di una popolazione di H. erectus con forti differenze intraspecifiche, comprendente cioè individui di piccola e grande taglia.“Con il cranio di Oloresailie potremmo trovarci di fronte a una linea africana che si è evoluta autonomamente dalla linea orientale, a partire dal comune antenato Homo ergaster, sviluppando caratteri morfologici differenti”, osserva Giorgio Manzi, paleontropologo dell’Università “La Sapienza” di Roma. “Non parlerei di vere e proprie specie, ma di linee evolutive diverse, le quali hanno seguito traiettorie autonome in aree geografiche anche molto diverse e distanti” aggiunge Manzi. Il dibattito resta aperto, anche perché i reperti a disposizione degli studiosi sono ancora scarsi. I paleontologi della Smithsonian Institution si augurano ora che i loro dati possano contribuire alla creazione di un vasto database dei reperti fossili dei primi ominidi che, mettendo in luce similitudini e differenze, potrebbe permettere di ricostruirne la sistematica. Nel frattempo proseguiranno le ricerche presso gli scavi di Oloresailie.

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