Un drappello italiano sta per unirsi alla “carovana” internazionale di protesta contro la costruzione dell’Oleoducto Crudos Pasos (Ocp): 500 chilometri di condutture che dovrebbero trasportare il greggio dal Nord-ovest dell’Ecuador alla costa pacifica, attraversando un’area ad alto rischio sismico e costellata da ben 11 aree protette. E anche in parte già duramente provata dagli sversamenti di petrolio (25 in vent’anni anni, per un totale di circa 85 milioni di litri) causati da un altro impianto, il Sote, che attraversa la regione. Il nuovo oleodotto, promosso da un consorzio internazionale che vede coinvolta anche l’Italia con l’Eni e la Banca Nazionale del Lavoro, è duramente criticato dalle organizzazioni ambientaliste locali e internazionali. In primo luogo, perché il progetto non risponderebbe agli standard ambientali richiesti dalla Banca Mondiale. Secondo, la sua realizzazione presuppone un allargamento delle zone di sfruttamento petrolifero, con conseguenze devastanti per le popolazioni locali, inquinamento dell’aria, dell’acqua del territorio. Terzo, la prossimità con Colombia fa delle condutture un possibile obiettivo di attentati terroristici, come avvenuto per il Sote, colpito cinque volte nel corso dell’ultimo anno. Infine, accusano gli ambientalisti, l’Ocp sarebbe un buon affare solo per i petrolieri, che lo avrebbero in gestione per alcuni decenni, mentre i costi di realizzazione ricadrebbero completamente sul governo dell’Ecuador. I lavori dell’Ocp sono già partiti, osteggiati dalla popolazione locale e dagli ecologisti (due italiani sono stati arrestati). In risposta, il governo ha dichiarato lo stato d’emergenza e ha militarizzato due province amazzoniche interessate dal progetto. (m.b.)
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