Una foglia misura lo smog

Manderanno in soffitta le centraline di rilevamento che tengono sotto controllo la qualità dell’aria in molte città. Non si tratta di nuovi ritrovati tecnologici, ma delle chiome degli alberi. Sfruttando le proprietà magnetiche delle foglie un team di scienziati di dieci Paesi Europei sta mettendo a punto un sistema di monitoraggio “naturale” che promette di essere più efficiente di quelli finora utilizzati. Il progetto pilota, che coinvolge in questo momento le università di Southampton, Liverpool, Lancaster, Utrecht, Aix-Marseille 3, Madrid, Monaco, Leoben, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma (Ingv) e il Swiss Federal Institute of Technology di Zurigo, è stato finanziato dall’Unione Europea.”Le foglie degli alberi, in particolare quelle dei platani e dei lecci, hanno la capacità di assorbire le particelle di magnetite con dimensioni inferiori al micron”, ha spiegato Leonardo Sagnotti dell’Ingv durante un workshop promosso dalla Scuola Internazionale di Geofisica del Centro di cultura scientifica ‘’Ettore Majorana’’ di Erice. “Si tratta di un particolato derivante dai gas di scarico degli autoveicoli che, proprio per le piccolissime dimensioni, si annida nelle parti più profonde del polmone durante la respirazione”. Le foglie sono quindi dei collettori naturali. Che una volta portate in laboratorio posso essere letti, “utilizzando strumentazioni e tecniche, molto affinate, già ampiamente collaudate per la caratterizzazione della magnetizzazione delle rocce”, va avanti il ricercatore. L’incontro di Erice è stata l’occasione per confrontare i primi risultati emersi dalla sperimentazione pilota nelle dieci diverse città europee, per poter valutare sulla base di questi le linee guida da adottare nelle fasi successive dello studio. “A Roma abbiamo cominciato con i platani, ma, nel corso dello studio, abbiamo avuto modo di constatare che i lecci (querce mediterranee sempre verdi) hanno una migliore capacità di assorbimento delle particelle inquinanti”, ha detto ancora Sagnotti. “Naturalmente, nella scelta degli alberi, bisogna tener conto, oltre alle caratteristiche peculiari, anche della disponibilità delle piantagioni sul territorio interessato ai rilevamenti”. La possibilità di utilizzare le foglie degli alberi al posto delle centraline “una innovazione semplice e, nel contempo, rivoluzionaria che potrà presto trovare pratica applicazione nelle città con il vantaggio che sarà possibile, contrariamente a quanto avviene adesso con l’impiego delle centraline, monitorare in maniera capillare interi quartieri urbani”, ha sottolineato Enzo Boschi presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Proprio la possibilità di eseguire un monitoraggio analitico delle aree urbane consentirà agli esperti di verificare, con tempestività, le differenze dei livelli di particelle inquinanti riscontrate nelle zone ad alta intensità di traffico e in quelle meno transitate, come i centri storici e le aree pedonali.La fattibilità dello studio è già stata testata positivamente. I ricercatori stanno adesso affinando le tecniche di rilevamento in maniera da adottare, in tutti i Paesi europei che aderiscono al progetto pilota, linee di intervento omogenee. “Dobbiamo ancora decidere”, prosegue Cagnotti, “le modalità della campionatura, come pure valutare le influenze sulle misurazioni che possono avere le variazioni delle condizioni meteo: dal vento alla pioggia”. Un’abbondante pioggia, infatti, potrebbe alterare parzialmente i risultati delle misurazioni eseguite nei laboratori. Nel complesso però il sistema è affidabile. Lo conferma il confronto tra i dati emersi durante le prime fasi della sperimentazione e quelli registrati, negli stessi luoghi, dalle più comuni centraline di rilevamento.

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