Categorie: Salute

Poca arginina: la nuova ipotesi per spiegare l’Alzheimer

Sappiamo che l’Alzheimer, almeno a livello microscopico, si presenta con due caratteristiche patologiche nel cervello dei pazienti: le placche di proteina beta-amiloide e gli ammassi neurofibrillari della proteina tau. Entrambe queste proteine, quindi, sembrano svolgere un ruolo preponderante nello sviluppo della malattia, ma su quali siano esattamente le cause non è ancora chiaro. Uno studio pubblicato su Journal of Neuroscience però prova ad avanzare una nuova ipotesi, secondo cui l’insorgere della malattia sarebbe correlato alla diminuzione di un amminoacido, l’arginina, consumato attivamente da alcune cellule del sistema immunitario.

L’ipotesi nasce in seguito a una serie di osservazioni compiute dai ricercatori guidati da  Carol Colton della Duke University School of Medicine su alcuni modelli animali della malattia: topi (chiamati CVN-AD) nei quali si osserva un andamento graduale di sviluppo dell’Alzheimer, con la comparsa di tutte le caratteristiche della patologia (placche, ammassi neruofibrillari, perdita di neuroni e alterazione del comportamento) e una notevole somiglianza col sistema immunitario umano.

Analizzando proprio il comportamento delle cellule del sistema immunitario nel corso della vita di questi animali i ricercatori hanno osservato qualcosa di anomalo: le cellule della microglia (a difesa del sistema nervoso centrale) mostravano una forte attivazione di geni immunosoppressori e un’inattivazione invece di quelli a sostegno della risposta immunitaria. Una scoperta inattesa perché finora gli scienziati credevano che fosse la forte attivazione del sistema immunitario a danneggiare il cervello. Ma nei modelli animali gli studiosi hanno osservato anche altro: lì dove si concentrano le cellule della microglia con attività immunosoppressiva (regioni coinvolte nella memoria) si riscontrano anche alti livelli di arginasi, un enzima che rompe un amminoacido, l’arginina.

Bloccando questo enzima con una molecola (il difluoromethylornithine, DFMO, allo studio in alcuni trial clinici contro il cancro) prima della comparsa dei sintomi tipici della malattia, gli scienziati hanno però osservato che si riesce a ridurre il numero di queste cellule e le placche nel cervello dei topi, che si mostrano anche più efficienti nei test di memoria.

Tutto ciò, concludono i ricercatori, suggerisce che se si riesce a bloccare la degradazione dell’arginina (e quindi la sua deprivazione) si riesce anche a bloccare l’avanzamento della malattia. Ma stiamo parlando ancora di studi sui topi.

Riferimenti: Journal of Neuroscience Doi: 10.1523/JNEUROSCI.4668-14.2015

Credits immagine: Carol Colton lab, Duke University

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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  • In quali nutrienti si può trovare l'aminoacido dell'arginina per il nostro
    corpo, oltre che da medicinali?
    C ordiali saluti.

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