Spazio

Una nuova misura per la velocità di espansione dell’Universo

Che l’Universo sia una sorta di bolla in espansione è noto ai fisici da ormai quasi un secolo. Meno nota è però la velocità con cui ciò accade, uno dei valori chiave nella nostra comprensione del cosmo. Nuova luce in questa direzione è stata recentemente gettata da un gruppo di astronomi della collaborazione scientifica internazionale H0LiCOW. Con uno studio pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, il team ha ottenuto una nuova misura della velocità d’espansione, basata su una metodologia innovativa, che sembra restituirci un’immagine del cosmo diversa da quella attuale.

Gli scienziati, guidati da Sherry Suyu, ricercatrice dell’Istituto Max Planck per l’Astrofisica (Germania), hanno condotto le misure usando l’effetto di lente gravitazionale , un particolare fenomeno previsto da Einstein un secolo fa. Secondo la teoria del celebre scienziato, ogni oggetto curva lo spazio a causa della sua massa, deviando così la traiettoria di tutto ciò che si muove nelle vicinanze, luce inclusa. E proprio la luce, scivolando sullo spazio curvo, subisce effetti di deformazione ottica simili a quelli provocati da una lente.

I ricercatori hanno studiato l’effetto di lente gravitazionale esercitato da cinque galassie giganti sulla luce di particolari corpi celesti noti come quasar. Le osservazioni sono state condotte con il telescopio spaziale Hubble e altri osservatori terrestri. È la prima volta che le lenti gravitazionali vengono utilizzate per calcolare la velocità d’espansione dell’Universo. E le sorprese non sono mancate.

Per quanto riguarda le regioni dell’Universo più vicine a noi, la misura di Suyu e collaboratori è in accordo con le stime ricavate per altre vie, come, per esempio, l’osservazione di stelle esplose. Tuttavia, qualcosa di inaspettato sembra emergere quando si scrutano gli angoli più remoti del cosmo, corrispondenti all’Universo primordiale. I risultati, infatti, si discostano da quelli di riferimento, forniti negli ultimi anni da Planck, il satellite dell’Agenzia Spaziale Europea.


Com’è fatto l’Universo secondo la missione Planck


Planck ha permesso di misurare la velocità di espansione dall’osservazione della radiazione cosmica di fondo, l’eco del Big Bang. Tali risultati supportano il cosiddetto modello standard dell’Universo, ossia la nostra attuale comprensione del cosmo. La differenza tra i valori calcolati con le lenti gravitazionali e Planck sembra dunque condurre a un punto critico: qualcosa, nella nostra immagine della struttura dell’Universo, potrebbe essere sbagliato. Non c’è da meravigliarsi, quindi, che il team di H0LiCOW abbia salutato con grande entusiasmo i risultati raggiunti.

Non tutti, però, condividono la chiave di lettura dei risultati di Suyu e colleghi che invocherebbe una revisione del modello standard, preferendo optare per una posizione più cauta. “Si tratta di uno studio importante per la cosmologia”, spiega a Galileo Paolo de Bernardis dell’Università La Sapienza di Roma, “in quanto usa un elegante metodo di misura, del tutto indipendente dai soliti. I risultati ottenuti sono diversi da quelli di Planck. Tuttavia, i valori non sono in disaccordo eccessivo, anche alla luce del fatto che i due metodi di misura sono molto diversi. Non parlerei quindi di discrepanza fra le misure di Suyu e Planck”.

È ancora una questione aperta, quindi, che le lenti gravitazionali abbiano offerto una nuova finestra sulle leggi del cosmo o meno. Una cosa, però, è certa. Come afferma de Bernardis, “Resta importante studiare l’Universo con metodi indipendenti. Solo così si potrebbero trovare quegli indizi di nuova fisica in grado di spingerci verso una modifica dell’attuale modello dell’Universo”.

Riferimenti: Monthly Notices of the Royal Astronomical Society

Articolo prodotto in collaborazione con il Master SGP della Sapienza Università di Roma

L’aggiornamento: L’Universo ha 13,8 miliardi di anni: nuovi dati confermano il modello standard

Giulio Mazzolo

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