Una tavola periodica per gli esopianeti

Spazio. Ultima frontiera. Nell’immaginario comune la nave USS Enterprise della Flotta stellare già dagli anni Sessanta “viaggia alla ricerca di strani mondi per arrivare là dove nessun uomo è mai giunto prima”. Eppure è da meno di venti anni che è cominciata la caccia ai pianeti simili alla Terra da parte degli scienziati. Oggi gli astrofisici sono in grado di riconoscere questi corpi celesti abbastanza facilmente, tramite l’osservazione diretta con telescopi o indiretta con calcoli gravitazionali o di luminosità. Tanto che l’ Università di Puerto Rico ha tentato di catalogare i primi 700, quelli già confermati, secondo criteri di abitabilità e somiglianza con il nostro pianeta. Creando una sorta di Tavola Periodica degli esopianeti e stilando una classifica alla ricerca della vice-Terra. 

Nella storia umana, il primo esopianeta trovato è stato 51 Pegasi b. La scoperta è avvenuta nel 1995, quando le apparecchiature sono diventate abbastanza sofisticate e accurate da scovare un piccolo corpo celeste che orbitasse intorno a una stella simile al Sole. L’ultimo scovato è stato Kepler-22b,  un corpo celeste scoperto dalla Nasa probabilmente molto più grande della Terra, ma che ha la caratteristica di essere proprio al centro della zona potenzialmente abitabile del suo sistema planetario, ovvero in quella parte dello Spazio le cui condizioni potrebbero favorire la presenza di vita.

Tra queste due scoperte ci sono centinaia di altri avvistamenti – a oggi la media è di circa 20 l’anno – che il Planetary Habitability Laboratory ha tentato di classificare secondo diversi criteri. Oltre a identificarli come realmente abitabili, infatti, i creatori della particolare Tavola Periodica hanno tentato di fare di più . “Uno dei principali risultati del nostro lavoro – ha spiegato Abel Méndez, ricercatore che ha coordinato il progetto – è che siamo riusciti a stilare una graduatoria dei pianeti con maggiori probabilità di sviluppare vita. Una lista dal migliore al peggiore candidato”.

Ma quali sono i parametri usati dagli astrofisici a questo scopo? Il primo è, come già accennato, il posizionamento nella zona abitabile. L’indice Habitable Zone Distance (Hzd), funzione della luminosità e della temperatura della stella, indica infatti la posizione del pianeta nella zona in cui potrebbe svilupparsi vita e può assumere valori da -1 (più vicino al suo Sole) a 1 (più lontano).

Altri indici considerati sono: l’ Earth Similarity Index (Esi), che misura quanto un pianeta somigli alla Terra – in una scala da 1 a 0, dove l’unità indica l’identità con il nostro pianeta – in base a raggio, densità, velocità di fuga (velocità necessaria per contrastare la gravità e allontanarsi dalla superficie) e temperatura superficiale; e poi lo Standard Primary Habitability (Sph), che indica il clima probabilmente presente sulla superficie, la presenza di acqua, il valore dell’umidità, la possibilità di sviluppare vegetazione, sempre in una scala da 0 a 1.

Inoltre, i pianeti vengono divisi in classi secondo temperatura complessiva (fredda, temperata, calda), dimensione (asteroidan, mercurian, subterran, terran, superterran, neptunian, e jovian), e categoria termica (hypopsychroplanet hP, psychroplanets P, mesoplanets M, thermoplanets T, e hyperthermoplanets hT), ovvero un valore che indica la possibilità che alla temperatura superficiale si possano sviluppare forme di vita complesse (pianeti di classe M). 

La classificazione è dunque piuttosto complessa. Come spiegato nel sito del progetto, il primo passo è sempre valutare gli indicatori fisici: “I mondi abitabili si riconoscono prima per la loro posizione orbitale rispetto alla loro stella madre e ad alcune caratteristiche come massa e raggio. Solo gli esopianeti con di giusta taglia, che si trovano all’interno della zona abitabile e che mostrano di poter avere acqua sulla superficie sono considerati all’interno del progetto”. Il secondo passo è quello di definire che tipo di atmosfera abbiano i pianeti che superano la prima selezione, ma questo è possibile solo in rarissimi casi.  

L’ultimo step infine – che ancora gli scienziati non sono in grado di portare a termine ma che hanno già teorizzato – è quello di analizzare la chimica dell’atmosfera per scovare tracce di vita. I ricercatori sono infatti convinti che un giorno sarà possibile riconoscere la presenza di vegetazione o di attività biologiche controllando le emissioni del pianeta. Insomma la ricerca di pianeti abitabili, seppure faccia grandi passi in avanti, è ancora ai suoi stadi iniziali. 

Ma cosa dicono i ricercatori di Puerto Rico dell’ultimo pianeta scoperto, Kepler-22b? Ieri alla notizia della scoperta il team che lavora alla missione Kepler aveva usato toni entusiastici. “Ci sono due cose eccitanti riguardo questo pianeta”, aveva spiegato Natalie Batalha, ricercatrice leader del progetto, come riportato da Science. “Una è che si trova nel bel mezzo della zona abitabile, l’altra è che si tratta del primo pianeta che orbita intorno ad una stella veramente simile al Sole”. Prima di oggi, infatti, le stelle madri di tutti i pianeti scovati erano nane rosse, o comunque stelle più fredde e meno luminose della nostra. 

Ma i creatori della Tavola Periodica degli esoplaneti non sono convinti che questo corpo celeste possa essere classificato come abitabile. “È vero che si trova nella zona giusta – avevano scritto già ieri sul sito – ma è anche un pianeta molto grande. Nel nostro catalogo sarebbe classificato come un Warm Neptunian, ovvero a clima temperato ma delle dimensioni di Nettuno”.

In ogni caso gli astrofisici hanno trovato quello che a oggi è il miglior candidato come vice-Terra. Si tratta del pianeta KOI736.01 che ha massa, raggio e gravità di poco maggiori di quelle del nostro pianeta. La temperatura superficiale sembra essere fresca (circa 13°C), ma comunque accettabile per la vita. Sarebbe il candidato perfetto da andare a vedere da vicino. Se non fosse che si trova a 1.750 anni luce da noi.

Via: Wired.it

Credits immagine: Planetary Habitability Laboratory, University of Puerto Rico at Arecibo

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