Un’espressione universale per il no

espressione

Rabbia, disgusto, tristezza, gioia, paura e sorpresa sono emozioni fondamentali dell’esperienza umana. E secondo gli psicologi (ma esistono pareri discordanti), le espressioni che assume il nostro viso quando le sperimentiamo sono universali. A prescindere cioè dalla cultura in cui siamo cresciuti, o dalla parte del mondo in cui siamo nati, un sorriso o un viso imbronciato sono immancabilmente legati a particolari emozioni: gioia nel primo caso, e tristezza nel secondo. Accanto a queste sensazioni di base, esiste però un’altra espressione facciale che trascende barriere linguistiche e culturali . È la “faccia no” (o not face): una particolare mimica del nostro volto che utilizziamo a tutte le latitudini per accompagnare una frase o un concetto in cui neghiamo qualche cosa. A scoprirla è stato uno studio della Ohio State University, pubblicato sulla rivista Cognition.

L’espressione facciale del no è un insieme di diverse caratteristiche: sopracciglia aggrottate, labbra strette e mento sollevato. Quando parliamo, tendiamo ad assumere questa espressione ogni volta che ci troviamo a smentire qualcosa: quando diciamo “non sono d’accordo”, per esempio, oppure quando pronunciamo una frase come “non verrò alla festa questa sera”.

(Credits: Benitez-Quiroz et al.)
(Credits: Benitez-Quiroz et al.)

Lo studio dei ricercatori americani ha identificato l’uso di questa espressione in una lunga serie di lingue differenti: inglese, spagnolo, cinese, e persino il linguaggio dei segni americano, in cui spesso è utilizzata al posto del segno che corrisponde alla parola “no”. Per questo, gli autori sono certi di aver individuato un’espressione universale, che nascerebbe dall’unione di tre espressioni facciali che esprimono le emozioni negative di base: disprezzo, rabbia e disgusto.

A differenza delle altre espressioni facciali universali, la not face non è legata a un’emozione, ma è piuttosto quello che i ricercatori definiscono un “marcatore grammaticale non verbale”. Si tratterebbe cioè di un elemento linguistico, che aiuta a comprendere il significato di una frase. “Si tratta di elementi che indicano la funzione grammaticale di una frase”, spiega Aleix Martinez, scienziato cognitivo della Ohio State University che ha coordinato lo studio. “Un po’ come avviene con il suffisso ed, che in inglese trasforma il tempo di un verbo. I marker grammaticali sono parte delle grammatica, e la grammatica è ciò che definisce il linguaggio umano”.

Per questo motivo, spiega il ricercatore, la scoperta della not face potrebbe gettare luce su alcuni dei misteri che accompagnano lo sviluppo del nostro linguaggio. Gli psicologi ritengono infatti che le espressioni facciali che accompagnano le emozioni siano nate come meccanismi protettivi che accompagnano determinate esperienze sensoriali: nel disgusto per esempio si chiudono bocca, narici e occhi, e questo inizialmente sarebbe stato utile a evitare di entrare in contatto con germi e microorganismi patogeni, trasformandosi poi nel corso dell’evoluzione in un’espressione universale della comunicazione non verbale.

Segni del genere esistono nei sistemi di comunicazione di molti animali, che come capita in quelli dei nostri parenti più prossimi, le grandi scimmie, sono in grado di trasmettere semplici concetti, ma non possiedono l’elemento fondamentale del linguaggio umano: la grammatica. Per questo, la scoperta della not face potrebbe dimostrare che anche il nostro raffinato sistema linguistico abbia avuto origine dai sistemi di comunicazione già presenti nel regno animale.

“La nostra ipotesi – spiega Martinez – è che le espressioni facciali delle emozioni, che rappresentano una forma di comunicazione non verbale, si siano evolute fino a diventare marcatori grammaticali, e quindi una forma di linguaggio. Questa ipotesi rappresenterebbe un percorso evolutivo credibile per il successivo sviluppo del linguaggio umano”.

via Wired.it

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