Uno scudo contro l’Alzheimer

Se una mutazione in un gene impedisce che la proteina da questo codificata venga attaccata da un enzima e trasformata in un prodotto tossico, dannoso per l’organismo, allora può considerasi protettiva. Uno scudo contro l’insorgere della malattia legata proprio a quel prodotto nocivo. É questo, in sintesi, il significato del lavoro pubblicato su Nature da un gruppo di ricercatori guidati da Kari Stefansson della University of Iceland di Reykjavik, e della deCODE genetics, che ha identificato una mutazione nel gene App (precursore della proteina amiloide) che protegge dall’insorgere dell’Alzheimer e del declino cognitivo associato all’età. Come? Riducendo la formazione di quel prodotto tossico che è la beta-amiloide, principale costituente della formazione delle placche amiloidi, caratteristica distintiva della malattia

Precursore del peptide dannoso è infatti la proteina prodotta a partire dal gene App, la cui formazione è regolata dall’attività di due enzimi. In pratica la proteina viene tagliata fino a trasformarsi in una molecola più piccola, la beta-amiloide appunto, prodotta in modo anomalo in chi soffre del morbo di Alzheimer (e in cui sembra diffondersi come un’infezione, da neurone a neurone). Tra la trentina dimutazioni finora identificate nel gene App, alcune infatti sembrerebbero favorirne la trasformazione, causando un accumulo eccessivo di beta-amiloide. Alterazioni in molti casi riscontrate nei casi di Alzheimer familiare con esordio precoce. 

Per far luce su altre possibili mutazioni poco frequenti implicate nell’insorgere della patologia, il team di Stefansson ha analizzato le varianti del gene App ottenute dal genoma di 1795 islandesi. Successivamente queste variazioni sono state confrontate con quelle presenti all’interno di un gruppo di malati di Alzheimer, e di soggetti controllo (ovvero sopra gli 85 e che non avevano sviluppato la malattia) alla ricerca di eventuali correlazioni. 

Tra le mutazioni identificate quella più significativa, spiegano gli scienziati, è quella soprannominata A673T, molto più comune nei soggetti controllo che nei malati di Alzheimer. Non solo, ma all’interno del gruppo controllo i ricercatori hanno anche osservato come la presenza della mutazione si associ a un minor declino cognitivo rispetto ad altri varianti geniche. Suggerendo quindi per A673T un ruolo protettivo naturale contro l’insorgere dell’Alzheimer e declino cognitivo, sebbene si tratti di una mutazione abbastanza rara, precisano gli autori. 

Il significato della scoperta è però importante, soprattutto considerando in che modo la mutazione protegge dall’insorgere della malattia. Secondo gli scienziati infatti  A673T ostacolerebbe l’attacco di uno degli enzimi coinvolti nella produzione della beta-amiloide, di fatto riducendone del 40 per cento circa la formazione, come dimostrato da alcuni esperimenti in vitro. Confermando l’idea che interferire sui meccanismi enzimatici alla base produzione della proteina tossica possa contrastare lo sviluppo della malattia.

via wired.it 

Credit immagine a gliageek/Flickr

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