Covid-19, il vaccino di Oxford spiazza gli esperti: più efficace con dose dimezzata

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(Foto: pearson0612 via Pixabay)

Un’efficacia del 70%, dal 62% del dosaggio pieno al 90% della somministrazione ½ + 1. Sono un grattacapo le stime preliminari di efficacia del vaccino anti-Covid di Oxford-AstraZeneca, appena rese note attraverso un comunicato stampa. Come per i vaccini di Pfizer-Biontech e di Moderna, infatti, non ci sono ancora pubblicazioni scientifiche disponibili e all’annuncio più di un esperto ha esternato delle perplessità. Ecco cosa c’è di strano.

Che significa efficacia media?

La prima cosa che salta all’occhio è che il comunicato di AstraZeneca parla di un’efficacia media del suo vaccino contro il coronavirus del 70% circa – un dato che scaturisce prendendo in considerazione il totale dei volontari che hanno contratto Covid-19 (131) coinvolti nelle varie sperimentazioni. Sì, perché il trial non era omogeneo: non tutti i volontari sono stati trattati allo stesso modo.


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Un ramo dello studio invece di utilizzare una dose intera di vaccino alla prima somministrazione ne ha data la metà ai suoi 2.741 partecipanti. Un errore lo ha definito Mene Pangalos, vicepresidente esecutivo della ricerca e sviluppo di biofarmaci di AstraZeneca, al Guardian al cui riconoscimento, però, i ricercatori hanno deciso di non interrompere la sperimentazione, di procedere con un richiamo a dose intera quattro settimane dopo, e di constatare gli effetti del diverso dosaggio. Uno sbaglio fortunato, potremmo dire col senno di poi: a queste dosi l’efficacia del vaccino sembra infatti raggiungere il 90%, contro il poco entusiasmante 62% del dosaggio intero (percentuale che comunque è in linea con l’efficacia stimata dei vaccini contro l’influenza annuale).

Hanno senso questi dati? E se sì, come si spiegano?

Dubbi statistici

Premesso che i dati non sono ancora disponibili e che non è stato detto come i 131 casi di Covid-19 diagnosticati fossero distribuiti tra i diversi rami della sperimentazione, c’è chi sostiene che il motivo per cui una dose inferiore risulti più efficace della dose intera dipenda dalla sproporzione tra le due popolazioni: il braccio a maggior efficacia ha coinvolto 2.741 volontari, mentre quello a minor efficacia 8.895. Ampliando gli studi la discrepanza potrebbe svanire e l’efficacia uniformarsi su un valore vicino al 66%, ipotizza l’epidemiologo della London School of Hygiene and Tropical Medicine Stephen Evans su Nature.


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Ipotesi a confronto

Se invece le differenze venissero confermate, la questione sarebbe alquanto intrigante, almeno dal punto di vista scientifico. Sebbene i ricercatori di Oxford in alcune interviste ammettano di non essere ancora in grado di spiegare perché la mezza dose iniziale sembri fornire una protezione migliore contro il coronavirus, le ipotesi sul piatto sono diverse.

Secondo l’immunologa Katie Ewer, che sta lavorando al vaccino, per esempio, è possibile che una più bassa dose iniziale sia più efficace nello stimolare un sottoinsieme di cellule immunitarie (le cellule T) che supportano la produzione di anticorpi.

Un’altra spiegazione possibile risiede nella risposta immunitaria al vettore virale impiegato nel vaccino di Oxford-AstraZeneca: alcune componenti dell’adenovirus degli scimpanzé modificato, utilizzato per indurre le cellule immunitarie ad armarsi contro la proteina spike del coronavirus, potrebbero a loro volta indurre una reazione immunitaria collaterale. Un’iniziale dose più bassa di vaccino potrebbe aver smorzato questo effetto col risultato di portare a una protezione migliore dal coronavirus a due settimane dal richiamo a dose intera. Questa ipotesi, tra l’altro, sarebbe supportata anche da alcuni test sui topi, che indicherebbero oltretutto una più rapida creazione di cellule immunitarie della memoria.

Servono più dati

Insomma, la conclusione è che al di là degli annunci non si sa davvero quale sia l’efficacia del vaccino di Oxford-AstraZeneca né la protezione che potrebbe conferire sul lungo periodo o sulle fasce più giovani e anziane della popolazione – dati che del resto mancano anche per gli altri candidati vaccini che hanno concluso la fase 3 di sperimentazione.

Perché la comunità scientifica possa esprimersi servono dati, e molti di più di quelli ottenuti finora. Questi arriveranno col tempo.

Intanto AstraZeneca chiederà alle autorità competenti di modificare gli studi in corso per includere il regime di dosaggio che sembra più efficace. In fondo dicono dall’azienda sarebbe una follia utilizzare più vaccino del dovuto ottenendo oltretutto un’efficacia inferiore.

Via: Wired.it