Salute

Le varianti non sono colpa dei vaccini: ecco perché

Omicron. La nuova variante di coronavirus appena individuata dalle autorità sanitarie del Sudafrica ma presente in Europa già mesi prima si è guadagnata l’attenzione del mondo e il titolo di variant of concern (voc, variante preoccupante). Sono le sue tante mutazioni (soprattutto sulla proteina spike), alcune già note e altre mai viste prima nelle voc già in circolazione, a mettere tutti sull’attenti. E puntualmente, come era già successo per alfa e poi per delta, risorge la domanda: ma non è che è colpa dei vaccini? Spoiler: no. Ma vediamo perché.

Come si generano le varianti

Una variante di un virus è una sua forma alternativa, dovuta a cambiamenti nel suo genoma, cioè il “libro” in cui sono scritte tutte le istruzioni per costruirlo e farlo funzionare. Le alterazioni si verificano quando il virus si replica all’interno delle cellule infettate: il sistema che sfrutta, infatti, non è perfetto e a furia di trascrivere il libro del genoma può inserire degli errori (mutazioni) che modificano la versione originale. 

Alcuni errori possono essere così gravi che semplicemente quella versione del virus non vede mai la luce, altri passano quasi inosservati perché non cambiano in modo sostanziale come è fatto il virus e le sue capacità. Alcuni, invece, possono capitare in punti tali da far acquisire al virus nuove caratteristiche. Se poi queste attribuiscano o meno un qualche vantaggio dipende da diversi fattori ambientali che contribuiranno alla selezione e a far emergere la versione più adatta al contesto.


Variante omicron, ecco come è cambiato il coronavirus


Per omicron ancora non si può dire nulla di certo. “Le informazioni che abbiamo sono del tutto parziali”, ha commentato Roberto Cauda, direttore della Uoc Malattie infettive della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli: “Le osservazioni fatte riguardano principalmente il Sudafrica, dove la diffusione sembra aver preso piede soprattutto nelle zone a nord del Paese. Per questo motivo si sospetta che la trasmissibilità possa essere superiore anche a quella della variante delta. Tuttavia la sintomatologia provocata dall’infezione sembrerebbe essere un po’ diversa, con forme meno gravi, anche se tutto è ancora da confermare. Il Sudafrica, infatti, ha una popolazione mediamente più giovane rispetto a quella dei paesi europei”.

I tempi non tornano

Stessa cosa si può dire per beta e gamma, emerse rispettivamente in Sudafrica e in Brasile alla fine del 2020, quando ancora la popolazione non era vaccinata. Di delta, la variante emersa in India e che tuttora è la più diffusa per la sua altissima capacità di trasmettersi, si inizia a parlare già a ottobre 2020, e di nuovo i vaccini non c’erano.

Il fatto che alcune varianti eludano in parte la protezione fornita dagli attuali vaccini è dovuta al fatto che questi sono stati disegnati su un ceppo diverso del coronavirus, quello originale emerso a Wuhan o la variante immediatamente successiva (quella responsabile della prima ondata epidemica in Italia, la D614G).

Dove nasce l’errore

C’è però da dire che la voce che i vaccini possano contribuire a selezionare varianti pericolose potrebbe essersi diffusa per un fraintendimento. Lo stesso report del Nejm cita infatti la possibilità che lo sviluppo di nuove varianti che bucano la risposta immunitaria si verifichi in presenza di una “replicazione virale prolungata in contesti di “immunità parziale”, riferendosi all’idea che alcune varianti (la stessa ipotesi è stata fatta anche per omicron) si siano selezionate in persone immunocompromesse, in cui l’infezione è stata a lungo prolungata anche da trattamenti non risolutivi (per esempio anticorpi monoclonali o plasma iperimmune). 

Queste condizioni, in linea teorica, sono possibili anche quando i vaccini conferiscono un’immunità parziale, contribuendo alla pressione selettiva. Tuttavia alcune ricerche suggeriscono che se anche ciò stesse avvenendo avrebbe lo stesso effetto selettivo dell’immunità sviluppata naturalmente (cioè dopo la guarigione), mentre altri studi sostengono non sia il caso dei vaccini anti-Covid, che invece starebbero dando prova di ridurre in modo drastico le vie collaterali che il virus potrebbe intraprendere per eludere la risposta immunitaria. In altre parole riducendo la trasmissione e le possibilità che il virus muti durante la replicazione attuano una sorta di “soffocamento evolutivo”.

Frenare la circolazione virale

I vaccini che sono stati sviluppati per proteggerci da Sars-Cov-2 non sono responsabili degli errori in cui il virus incappa quando si replica, che sono, come detto, un fenomeno naturale. Se il virus non avesse possibilità di replicarsi molto ci sarebbero meno chance di mutare e di originare nuove varianti. Anche alla luce della variante omicron, e sebbene non si possa escludere del tutto la possibilità che i vaccini agiscano come fattore di selezione di nuovi ceppi, oggi l’ipotesi più convincente è che lo sviluppo di nuove varianti sia dovuto a una ancora intensa circolazione di Sars-Cov-2, soprattutto in quei luoghi del mondo dove la percentuale di persone protette dalle vaccinazioni è ancora scarsa.

Non passa giorno ormai che i maggiori esperti mondiali e l’Oms non ricordino che dalla pandemia se ne può uscire solo tutti insieme, appellandosi al senso di responsabilità dei paesi ad alto reddito perché mantengano gli impegni e supportino le campagne di vaccinazione anti-Covid (come il programma Covax) nei paesi a basso reddito, dove le percentuali di persone protette sono ancora largamente insufficienti.

Mara Magistroni

Nata e cresciuta nella “terra di mezzo” tra la grande Milano e il Parco del Ticino, si definisce un’entusiasta ex-biologa alla ricerca della sua vera natura. Dopo il master in comunicazione della scienza presso la Sissa di Trieste, ha collaborato con Fondazione Telethon. Dal 2016 lavora come freelance.

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