Via il cloro dal bicchiere

L’acqua che beviamo – di rubinetto e imbottigliata – è sicura? Studi alla mano i dubbi sono molti. Quella che proviene dagli acquedotti comunali è potabilizzata con il cloro – sostanza che, secondo alcune ricerche, può essere cancerogena -; quella imbottigliata, a volte, anche e soprattutto per una cattiva conservazione durante le fasi della distribuzione, può arrivare alterata sulle nostre tavole. Oncologi italiani e statunitensi, riuniti nel centro di cultura scientifica “Ettore Majorana” di Erice, hanno approfondito l’argomento e sono giunti a una conclusione: l’acqua più sicura è quella potabilizzata con il sistema dell’osmosi inversa, una procedura di filtrazione basata sull’impiego di sofisticate membrane semipermeabili.I primi a lanciare l’allarme sulla possibile cancerogenicità del cloro, furono gli ambientalisti di Greenpeace nel 1995, in occasione della presentazione a Venezia del “Body of evidence”. Nel dicembre dello stesso anno, ricercatori dell’Università di Toronto e del centro canadese di ricerche sul cancro, hanno messo in correlazione l’impiego del cloro con l’aumento di tumori alla vescica. Per un decennio, anche a causa dei forti interessi economici che girano attorno all’acqua, l’allarme è quasi caduto nel dimenticatoio. Nel 2004 il problema è tornato alla ribalta: Michele Pavone Macaluso, urologo dell’Università di Palermo, ha avviato una collaborazione con un gruppo di scienziati tedeschi per accertare se, nelle aree geografiche dove si registra un’abbondante clorazione delle acque, ci sia una maggiore incidenza di tumori alla vescica. Per Pavone Macaluso “questa evidenza deve, necessariamente, essere approfondita”. Una posizione condivisa da Ignazio Carreca, del dipartimento di Oncologia medica dell’Università di Palermo e coordinatore del workshop di Oncologia di Erice,: “un importante e corposo studio statunitense ha dimostrato che c’è una correlazione, in termini statistici, fra clorazione delle acque e aumento dei tumori al fegato”. Per Carreca il problema è ancora più articolato e complesso: “nei casi in cui venissero usate dosi più elevate di cloro per la potabilizzazione delle acque, oltre a correre maggiori rischi per la nostra salute, avremmo anche un’acqua non più perfettamente potabile: l’iperclorazione, infatti, oltre a essere nociva, non è indice di sterilizzazione”. Ma cosa incontra l’acqua, lungo le condutture, prima di arrivare nei rubinetti di casa nostra? “Anche in questo caso”, dice Carreca, “le variabili e i rischi sono numerosi”. Sotto inchiesta, seppur con imputazioni più lievi, finisce pure l’oligominerale: secondo l’oncologo, “la mancanza di certezze sulla giusta conservazione delle acque durante la distribuzione, come pure i controlli a campione eseguiti alla fonte, non ci garantiscono sempre una sicurezza assoluta. Nelle acque, infatti, non è soltanto il cloro a essere nocivo; ci sono altre sostanze, sebbene ancora non sia stata dimostrata la loro cancerogenicità, che possono ugualmente nuocere alla nostra salute. La certezza di bere acqua pura oggi può darcela il processo di osmosi inversa, una tecnica che consente di depurare l’acqua e di rimineralizzarla con adeguate dosi di ioni prima di essere bevuta”.Nell’ambito del workshop di Erice e’ stato presentato un moderno sistema di potabilizzazione dell’acqua di rubinetto, basato proprio sul processo di osmosi inversa, realizzato dal gruppo “Una goccia per la vita”, del cui comitato scientifico fanno parte, fra gli altri, Luciano Fonzi del dipartimento di Scienze Anatomiche e Biomediche dell’Università di Siena e Massimo Pizzichini, del dipartimento Innovazioni dell’Enea. La macchina, frutto delle più sofisticate ricerche in campo tecnologico, preleva acqua direttamente dalla rete idrica, la spinge contro membrane osmotiche semipermeabili (purificandola), e poi la rimineralizza. Il processo di potabilizzazione avviene in diretta nel momento in cui si aziona il sistema di filtrazione pigiando sullo spillatore: l’acqua, in sintesi, non ristagna all’interno di serbatoi (anche la piccola quantità di acqua purificata e non utilizzata, che rimane all’interno dei tubi, viene scaricata prima dell’avvio del successivo processo); in questa maniera non c’e’ il rischio di contaminazione.

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