Xylella, inchiesta archiviata, ma il pericolo dell’epidemia è stato sottovalutato

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Un paesaggio a dir poco devastante: quello di intere distese di olivi che stanno morendo per colpa dell’ormai famoso batterio Xylella fastidiosa. Una vera e propria emergenza fitosaniataria che ha colpito dal 2013 una vasta area della Puglia, destabilizzando così un intero esercito di agricoltori le cui piantagioni, per una totale di 770mila ettari di terra, sono state uccise dal batterio. Una tragedia che, certamente, andava fermata prima.

L’archiviazione dell’inchiesta

Sebbene secondo le 44 pagine di archiviazione dell’inchiesta della Procura di Lecce nei confronti di 10 scienziati e politici locali appena diffuse gli interventi siano stati tardivi, manca tuttavia una prova certa che l’essiccamento da xylella si sarebbe potuto evitare, ovvero non è possibile dimostrare che l’epidemia sia la conseguenza delle sottovalutazioni della pericolosità del batterio.

Gli atti appena diffusi, suonano tuttavia più come una vera e propria accusa. I colpevoli? Tecnici, accademici e politici locali che hanno lavorato con noncuranza e negligenza, sottovalutando l’aggressività di xylella.

Gli interventi, spiega il tribunale di Lecce, “si sono dimostrati assolutamente disarticolati, tardivi, caratterizzati da scarsa trasparenza e professionalità e non consoni complessivamente a una corretta gestione dell’emergenza”. “È indubbio”, scrive il gip Alcide Maritati, “che gli indagati, ciascuno per la sua parte, non hanno di certo agito seguendo le regole e le prassi che sarebbero state necessarie in quella situazione”. Tuttavia non è possibile accusarli di aver diffuso l’epidemia volontariamente. “È altrettanto vero che pare impossibile trovare la prova certa che, osservate le corrette regole di comportamento, l’evento non si sarebbe comunque realizzato”.

L’epidemia di Xylella

Come vi avevamo raccontato a fine marzo scorso, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva riacceso i riflettori su xylella, nel corso di un appuntamento istituzionale tenutosi a Lecce, definendo l’epidemia come uno “scandalo“. Conte, infatti, aveva fatto riferimento a una serie di gravi errori e ritardi, generati da un atteggiamento antiscientifico nei confronti del problema, commessi dalle istituzioni italiane e che la Commissione europea aveva già sintetizzato in un rapporto del 2017.

Ma ripercorriamo a grandi linee la vicenda: tra le possibili ipotesi sulla diffusione di Xylella fastidiosa, c’è quella che sia giunta nel nostro Paese tramite delle piante ornamentali di caffè importate dal Costa Rica. Tuttavia, secondo una delle teorie del complotto, alcuni scienziati e ricercatori avrebbero introdotto il batterio nel 2010, in occasione di un convegno europeo di aggiornamento sulla xylella, organizzato dall’Istituto agronomico mediterraneo (Iam). Una teoria che nel 2015 è stata sposata dalla Procura di Lecce, che iscrisse nel registro degli indagati 10 scienziati,sospettati di essere gli untori dell’epidemia, bloccando di fatto il piano di eradicazione che il commissario straordinario Giuseppe Silletti aveva messo a punto per porre un freno alla diffusione del batterio.

Interventi tardivi

“Si è tenuto un workshop”, si legge negli atti, “nell’ambito di un’associazione scientifica che si dedica allo sviluppo di soluzioni propositive a malattie batteriche di drupacee e noci”. Ma perché, “l’interesse per la Xylella” che non attaccava gli alberi che producono “drupe e noci?”. Una domanda che è rimasta senza risposta, visto che lo Iam si è nascosto dietro “l’immunità giurisdizionale di cui gode”. Tuttavia, i tecnici hanno dimostrato che la sottospecie di xylella che ha attaccato gli ulivi non era stata importata in quel momento. “Ma è priva di ogni plausibile giustificazione l’introduzione a scopi di ricerca e studio di tutte le sottospecie di Xylella fastidiosa conosciute ad eccezione della sola individuata nel Salento”, scrivono oggi i pm.

Nel frattempo, gli interventi tardivi di abbattimento delle piante infette hanno trasformato la malattia in una vera e propria epidemia, in grado di infettare oltre 10 milioni di olivi. “Reticenze, omissioni e falsità hanno condizionato l’esito dell’indagine” si legge negli atti, sottolineando ancora una volta “l’inadeguatezza delle misure adottate” nel corso del tempo.

Via: Wired.it

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