Categorie: Ambiente

La mappa delle zone più sensibili alla variabilità climatica

Se fa più caldo, piove di più ed è più nuvoloso – o tutto il contrario – quali sono le aree del pianeta che ne risentirebbero di più? È quanto si è chiesto il team di Alistair Seddon della University of Bergen (Norvegia) che ha elaborato una mappa della sensibilità degli ecosistemi alla variabilità climatica, presentata sulle pagine di Nature.

Per farlo, Seddon e colleghi hanno messo insieme le osservazioni compiute da alcuni satelliti ambientali nel corso di 14 anni e le hanno quindi combinate con i dati di alcune variabili climatiche su base mensile che influenzano la crescita della vegetazione. Variabili come temperature, disponibilità d’acqua e la nuvolosità. Successivamente, spiega Seddon, i ricercatori hanno confrontato la variabilità nella produttività degli ecosistemi con quelle di temperatura, acqua e nuvolosità. In questo modo gli scienziati hanno elaborato un indice (Vegetation Sensitivity Index, o Vsi) per esprimere la sensibilità degli ecosistemi alla variabilità climatica, quale può essere un mese particolarmente caldo o uno particolarmente piovoso.

È così emerso che le zone più sensibili del pianeta, quelle che rispondono in maniera amplificata a questi cambiamenti, sono la tundra artica, alcune zone della foresta boreale, le regioni alpine(in tutto il mondo), steppe e praterie dell’Asia centrale, del NordSud America, le foreste del Sud America e le zone orientali dell’Australia. Quelle, per intenderci, con Vsi più alto e mostrate in rosso nella mappa elaborata dai ricercatori (in verde invece quelle con indice più basso e meno sensibili, in grigio le aree desertiche o ghiacciate).

“Il nostro studio fornisce un metodo quantitativo per stimare il tasso di risposta degli ecosistemi, sia quelli naturali che quelli con una forte impronta antropogenica, alla variabilità ambientale, che è il primo passo per capire perché alcune regioni appaiono più sensibili di altri e quale impatto questo ha sulla resilienza degli ecosistemi, la fornitura dei servizi e il benessere umano”, concludono gli autori del paper.

Via: Wired.it

Credits immagine:Brian Hoffman/Flickr CC

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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