Il gene egoista e il sesso

Niles Eldredge
Perché lo facciamo? Il gene egoista e il sesso
Einaudi, 2005
pp.277, euro 15,50

Tanto per dar fastidio ancora un po’ ai cristiani creazionisti, va affermata una tremenda – per loro – verità: l’evoluzione è una questione di sesso. Cioè, l’evoluzione darwiniana funziona anche perché esiste una modalità riproduttiva detta “sesso”, che consiste nello scambiare i propri geni con quelli di un altro individuo, dando origine a un terzo individuo. È una modalità che noi umani conosciamo bene, e intorno a cui abbiamo costruito imponenti sovrastrutture culturali e sociali. Secondo alcuni biologi evoluzionisti e filosofi della biologia, gli organismi fanno sesso perché il sesso è un modo per propagare i propri geni. Cioè la riproduzione dell’individuo è il risultato della tendenza dei geni a riprodursi, e a generare il maggior numero possibile di copie di se stessi. È la tesi solitamente nota come “gene egoista”, avanzata nell’omonimo libro da Richard Dawkins, e poi declinata in diversi modi: sociobiologia et similia. I geni determinano quindi il comportamento degli individui.Niles Eldredge non è d’accordo, e ormai da molti anni si batte per svelare i punti deboli di questo mito, diffuso anche nei media che non si tirano indietro di fronte a semplificazioni efficaci tipo: “il gene del tabagismo” o “il gene dell’omosessualità”. Questo libro è un ulteriore tassello nella sua battaglia culturale, e riesce a costruire un edificio teorico coerente che spiega altrettanto bene – se non meglio – i fatti biologici conosciuti. La sua proposta non è infatti un’alternativa esclusiva, quanto piuttosto un’integrazione teorica da affiancare a quelle già proposte, in un pluralismo di spiegazioni che meglio renda la complessità del vivente. Secondo Eldredge, il sesso è in realtà un mezzo poco efficiente per propagare i geni: solo la metà passano di generazione in generazione. La divisione dell’individuo, pura e semplice, raggiunge sicuramente una percentuale maggiore, trasmettendo il 100 per cento del patrimonio genetico. Come risolvere questo apparente paradosso? Basta pensare che il fine degli organismi non sia la riproduzione ordinata dai geni, quanto piuttosto l’autoconservazione e la conservazione della specie. L’autoconservazione significa procurarsi cibo e protezione: quindi anche, in molti casi, la creazione di strutture sociali adatte a questi scopi. La conservazione della specie sottintende invece che il sesso sia uno strumento ottimo per mantenere unita la popolazione (unità che compone la specie), garantendo variabilità e stabilità. Guardando le cose in quest’ottica, il sesso non è più un problema (almeno, non lo è per i biologi).Non è dunque la riproduzione a essere centrale nella riflessione di Eldredge: la prospettiva si allarga, e l’aspetto evolutivo si lega di necessità a quello ecologico. Cioè, non solo l’aspetto dell’ereditarietà e dell’informazione genetica, ma anche quello dello scambio energetico e di prestazioni sociali che facilitano la sopravvivenza degli individui, delle popolazioni e degli ecosistemi. Emerge dunque una gerarchia di livelli che espande la nostra visione del mondo dei viventi, non più limitato alla sola competizione tra i singoli organismi.L’argomentazione di Eldredge è lucida e ricca di esempi tratti dalla biologia ma anche dalle società umane, che rendono la lettura del volume fresca e avvincente anche al lettore poco avvezzo a misurarsi con questi temi.

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