La storia dell’antico Egitto raccontata dal DNA delle mummie

egitto
(Foto via Pixabay)

Pensavamo ci avessero lasciato in eredità caratteri facciali, segni di malattia, il loro guardaroba e addirittura alcuni tatuaggi, ma non il loro materiale genetico. Ma ci sbagliavamo. Ora, infatti, un team di ricercatori del Max Planck Institute di Jena, dell’università di New York e di quella di Tubinga è riuscito a prelevare, sequenziare e analizzare il dna di ben 93 mummie egiziane. I risultati, apparsi su Nature Communications, descrivono così la storia dell’antico Egitto, dimostrando come secoli di commercio e conquiste abbiano cambiato sorprendentemente i geni degli abitanti del Nilo: mentre gli antichi egizi erano strettamente legati alle popolazioni antiche del Medio Oriente e alle popolazioni neolitiche della penisola anatolica e dell’Europa, nei moderni egiziani si trovano invece interazioni con le popolazioni africane sub-sahariane, assenti completamente ai tempi dei faraoni.

Finora, estrarre il dna dalle mummie era considerato dalla comunità scientifica particolarmente difficile, soprattutto per il clima caldo, i livelli elevati di umidità e alcune sostanze chimiche utilizzate per la mummificazione, fattori che contribuiscono a degradare il dna.

E sebbene questa non sia la prima analisi condotta sul dna antico delle mummie egizie, questa ricerca si è servita di tecniche di sequenziamento di nuova generazione e dell’uso di metodi di autenticità per garantire l’origine antica dei dati ottenuti, rendendoli veramente affidabili.

“Il nostro scopo era capire se le conquiste di Alessandro Magno e di altre potenze straniere avessero avuto un impatto genetico sulla popolazione egiziana”, spiega Johannes Krause, del Max Planck Institute. Il team di ricerca è così partito da 151 campioni di mummie vissute tra il 1.400 e il 400 a.C., sepolte a Abusir el-Meleq, un sito archeologico a circa 100 chilometri a sud del Cairo e che oggi sono conservate nei due musei di Tübingen e di Berlino, riuscendo a sequenziare il genoma mitocondriale di 90 individui e quello nucleare degli altri 3.

Pensavamo ci avessero lasciato in eredità caratteri facciali, segni di malattia, il loro guardaroba e addirittura alcuni tatuaggi, ma non il loro materiale genetico. Ma ci sbagliavamo. Ora, infatti, un team di ricercatori del Max Planck Institute di Jena, dell’università di New York e di quella di Tubinga è riuscito a prelevare, sequenziare e analizzare il dna di ben 93 mummie egiziane. I risultati, apparsi su Nature Communications, descrivono così la storia dell’antico Egitto, dimostrando come secoli di commercio e conquiste abbiano cambiato sorprendentemente i geni degli abitanti del Nilo: mentre gli antichi egizi erano strettamente legati alle popolazioni antiche del Medio Oriente e alle popolazioni neolitiche della penisola anatolica e dell’Europa, nei moderni egiziani si trovano invece interazioni con le popolazioni africane sub-sahariane, assenti completamente ai tempi dei faraoni.

Finora, estrarre il dna dalle mummie era considerato dalla comunità scientifica particolarmente difficile, soprattutto per il clima caldo, i livelli elevati di umidità e alcune sostanze chimiche utilizzate per la mummificazione, fattori che contribuiscono a degradare il dna.

E sebbene questa non sia la prima analisi condotta sul dna antico delle mummie egizie, questa ricerca si è servita di tecniche di sequenziamento di nuova generazione e dell’uso di metodi di autenticità per garantire l’origine antica dei dati ottenuti, rendendoli veramente affidabili.

“Il nostro scopo era capire se le conquiste di Alessandro Magno e di altre potenze straniere avessero avuto un impatto genetico sulla popolazione egiziana”, spiega Johannes Krause, del Max Planck Institute. Il team di ricerca è così partito da 151 campioni di mummie vissute tra il 1.400 e il 400 a.C., sepolte a Abusir el-Meleq, un sito archeologico a circa 100 chilometri a sud del Cairo e che oggi sono conservate nei due musei di Tübingen e di Berlino, riuscendo a sequenziare il genoma mitocondriale di 90 individui e quello nucleare degli altri 3.

Via: Wired.it

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