Peschiamo in oltre metà degli oceani

(Foto: Global Fishing Watch)
(Foto: Global Fishing Watch)

Oltre il 55% degli oceani di tutto il mondo sono soggetti allo sfruttamento industriale. Un dato sorprendente, se consideriamo che la pesca fornisce solo l’1,2% della produzione calorica globale per il consumo di cibo. A rivelarlo sulle pagine di Science è una nuova mappa satellitare messa a punto dai ricercatori del Global Fishing Watch, che hanno dato così un’altra dimostrazione della potenza dei big data, estraendo un enorme numero di informazioni per creare modelli di comportamento che prima era impossibile analizzare. Infatti, elaborando con degli algoritmi un’enorme mole di dati provenienti dalle navi, sono riusciti a mappare con estrema accuratezza le zone di pesca di tutto il mondo. La mappa, precisano i ricercatori, mostra chiaramente che le maggiori influenze su questa attività non sono di tipo ambientale, come per esempio le stagioni o la migrazione dei pesci, ma sono piuttosto legate a fattori di tipo politico e culturale, come per esempio i periodi di festività e ferie.

Per creare la mappa, David Kroodsma e il suo team di ricercatori hanno analizzato attraverso degli algoritmi i dati tra il 2012 e il 2016, provenienti dai dispositivi chiamati transponder (in italiano trasponditore) che tutte le grandi navi (ne hanno identificate oltre 70mila) sono ora obbligate a trasportare. Questo sistema di identificazione automatica (Automatic Identification System, Ais) permette a ogni nave di inviare ai satelliti le informazioni circa la posizione, la rotta e la velocità.

(Foto: Global Fishing Watch)
(Foto: Global Fishing Watch)

Il team è stato in grado così di creare delle mappe, evidenziando le ore di pesca, per illustrare i luoghi in cui questa attività è più intensa: per esempio nell’Atlantico Nord-orientale, nel Pacifico Nord-occidentale, nelle regioni al largo del Sud America e dell’Africa occidentale. Solamente le navi di cinque paesi, ovvero Cina, Spagna, Taiwan, Giappone e Corea del Sud, rappresentano oltre l’85% delle attività di pesca osservate in mare aperto, lontano dalle loro zone economiche esclusive. Precisiamo, inoltre, che l’Italia si è posizionata quarta, preceduta da Cina Taiwan e Spagna, con circa 2 milioni di ore di pesca solamente nel 2016. Secondo l’analisi, infine, l’attività più diffusa in mare aperto, riguarda specie come tonno, squalo e aguglia, ed è stata rilevata nel 45% dell’oceano.

(Foto: Global Fishing Watch)
(Foto: Global Fishing Watch)

“La cosa più eccitante – spiega alla Bbc David Kroodsmaè che grazie a questi dati possiamo ora rispondere a domande come quali parti dell’oceano hanno bisogno di maggior protezione e quali specie sono più a rischio”. Va precisato, tuttavia, che il team non è riuscito a creare un quadro completo dell’attività di pesca, in quanto il sistema Ais non è su tutte le imbarcazioni: le navi più piccole, per esempio, non sono obbligate a istallarlo, mentre quelle che hanno l’obbligo, ma vogliono nascondere le loro attività illegali, possono semplicemente spegnerlo.

Tuttavia l’Ais, commenta Elvira Poloczanska, dell’Istituto Alfred Wegener di Bremerhaven, in Germania, sta diventando uno strumento potente. “Le applicazioni dei dati Ais comprendono il monitoraggio della nave e del carico”, ha dichiarato a Science. “Per esempio, i dati Ais stanno fornendo informazioni sulle rotte commerciali marittime, consentendo di fare future valutazioni dell’impatto che le emissioni di scarico delle navi hanno sull’inquinamento atmosferico”.

Via: Wired.it

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