A cena con Turing

John L. Casti
I cinque di Cambridge
Raffaello Cortina, Milano 1998
pp.163, lire 28.000

L’autore la definisce una “fiction scientifica”. E in effetti John L. Casti tenta di trasferire in uno scenario fittizio (anni ‘50, una cena al Christ’s College di Cambridge) una animata discussione tra improbabili commensali: il matematico Alan Turing, il filosofo Ludwig Wittgenstein, il genetista J. S. B. Haldane, il fisico e romanziere C. P. Snow, ed Erwin Schrödinger, il Nobel famoso per i suoi lavori sulla meccanica quantistica.

Tra le questioni affrontate dai cinque, domina su tutte una domanda. Sono state costruite macchine capaci di risolvere problemi di matematica, di ingegneria, di scienze, ma potranno esistere macchine con capacità cognitive simili a quelle umane? Le posizioni di tipo comportamentista sono esemplificate dal personaggio Turing. “Potranno essere programmate macchine che reagiscono a certi stimoli in maniera non distinguibile da quella umana – sostiene il matematico – addestrandole con ricompense e punizioni che mimano il piacere o il dolore”.

Il personaggio Wittgenstein sostiene invece che un tale gioco dell’imitazione non ha niente a che vedere con la capacità umana di pensare, costruita e sostenuta dal linguaggio. L’essenza del linguaggio è il significato, che può essere acquisito solo in un contesto sociale. Quindi, anche se è possibile etichettare come “dolore” un certo comportamento della macchina, questa non può comprenderlo, e senza questa comprensione la macchina non può avere conoscenza.

Il personaggio Haldane riporta le conoscenze biologiche della sua epoca, e discute con Schrödinger l’importanza delle informazioni immagazzinate nelle strutture molecolari dei viventi e che conferiscono loro una precisa individualità.

Le portate della raffinata cena fanno da contrappunto ai diversi temi trattati nel dibattito: una macchina potrà mai essere una persona, condividere con altre macchine un comportamento sociale e una cultura?

Pur avvertiti dall’autore, e accettando il gioco di fiction che si sviluppa in questa conversazione, fa comunque una certa impressione sentire, per bocca di Wittgenstein, le argomentazioni notoriamente proposte da John Searle in tempi assai successivi a quelli della cena immaginata da Casti, o, per bocca di Schrödinger, l’ipotesi chomskiana di una grammatica universale alla base di tutte le lingue umane.

Il libro si conclude con considerazioni che riportano il lettore ai nostri giorni: la ricerca scientifica svolta fino ad oggi ha dimostrato che quella artificiale e quella umana sono due forme distinte di intelligenza. La realtà quindi ha superato ogni più rosea aspettativa di Turing: e secondo l’autore, “in futuro macchine e esseri umani prederanno strade diverse, un po’ come uomini e delfini si sono separati molti millenni fa”.

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