Acqua, SOS per la madre della vita

La Terra è l’unico corpo celeste nel quale siano rilevabili due condizioni interdipendenti e uniche in tutto l’Universo conosciuto: la presenza di acqua allo stato liquido e l’esistenza di forme di vita in continua evoluzione. Tutta la comunità scientifica concorda, infatti, nell’identificare nell’acqua la madre della vita, dato che nessun processo biologico può svilupparsi se non in mezzo acquoso. La storia dell’evoluzione geochimica e biologica della Terra sottolinea questa circostanza dato che la vita ha potuto nascere e svilupparsi solo dopo che le condizioni ambientali erano diventate meno ostili e, soprattutto, solo dopo che si era sviluppata una idrosfera primordiale con la presenza di acqua allo stato liquido e con l’avvio del ciclo biogeochimico dell’acqua; ciò a seguito della condensazione del vapore d’acqua atmosferico per l’abbassamento della temperatura superficiale. Questo avveniva poco più di quattro miliardi di anni fa, circa un miliardo di anni dopo la formazione della Terra; poche centinaia di milioni di anni più tardi poteva prendere avvio la più straordinaria e peculiare avventura di tutto l’Universo conosciuto: la nascita e il successivo sviluppo della vita.

La ricerca scientifica, e conseguentemente l’informazione scientifica e i mezzi di comunicazione moderni, non sempre hanno dedicato l’attenzione che l’acqua intrinsecamente merita come supporto indispensabile di tutte le forme di vita; la scienza antica, che rappresentava un tutto unico con la filosofia, riassunta nella colossale opera di Aristotele, la collocava tra i quattro “elementi” fondamentali, ma non si soffermava molto sulle sue peculiari caratteristiche. Anche la chimica, maturata come scienza moderna nel Settecento e nell’Ottocento a opera di illustri scienziati che hanno lasciato le loro impronte anche in altre discipline, è stata assorbita da problematiche del tutto nuove connesse alla impostazione quantitativa dei processi naturali e alla scoperta di nuovi elementi, e non ha molto approfondito le conoscenze sull’acqua. Solo a partire dal 1900 l’acqua ha cominciato a essere posta al centro dell’attenzione degli scienziati e dei politici, sia perché l’approfondimento delle conoscenze fisiche e chimiche poneva nuovi quesiti allora senza risposta per riuscire a spiegare le sue caratteristiche uniche, e sia perché già diventava preoccupante il problema del suo approvvigionamento per gli agglomerati umani via via più estesi e numerosi. Non è un caso che una delle prime grandiose infrastrutture pubbliche moderne sia stata, nel 1905, la costruzione dell’acquedotto di Los Angeles, che andava ad attingere l’acqua a 400 chilometri di distanza dalla nuova metropoli.

La disponibilità di acque per uso umano

Gli studiosi, sia del settore scientifico che economico e sociale, hanno maturato negli ultimi anni la consolidata convinzione che ci avviamo verso un lungo periodo di pesante carenza di acque di qualità e quantità necessarie e sufficienti per la salvaguardia degli ecosistemi tutti, compreso quello umano, e, più specificamente, per i crescenti bisogni dell’umanità. Il settore dell’approvvigionamento di acque per usi idropotabili, in particolare, risulta il più critico. Gli osservatori internazionali concordano nel prevedere che nei prossimi 10-15 anni il prezzo delle acque potabili subirà un incremento di un fattore 5.

Questo trend negativo per il consumatore e per la società deriva dall’interazione sinergica di due tendenze consolidate nell’evoluzione degli ultimi venti anni. In primo luogo la normativa ambientale e sanitaria prevede norme sempre più cautelative per gli alimenti e per le acque potabili in particolare. Una vera rivoluzione conoscitiva è stata avviata agli inizi degli anni Ottanta perché elementi in traccia, considerati sino allora privi di significativi effetti cronici, dimostravano di essere la causa diretta di insorgenze di malattie molto gravi, e persino tumorali, anche nel caso di assunzioni di dosi molto basse, ma per lunghi periodi. Tra questi spiccavano per l’elevata tossicità cronica arsenico e alluminio, con il corteo di manganese, boro, ammoniaca, vanadio e mercurio nella specie metil-mercurio (CH3Hg). Ricerche sperimentali svedesi del Karolinska Institute [1] dimostravano nel 1979 che l’arsenico poteva ingenerare insorgenze di neoplasie di vario tipo anche a partire da concentrazioni estremamente basse negli alimenti e in particolare nelle acque potabili con concentrazioni di questo elemento maggiori/uguali a 10  µg/L, nel mentre le normative emanate dalle organizzazioni internazionali e adottate in tutti i Paesi avanzati prevedevano un limite di accettabilità (Concentrazione Massima Ammissibile = CMA) di 50 µg/L. Queste novità venivano confermate da ulteriori ricerche tossicologiche, epidemiologiche e di geochimica ambientale. Dopo un lungo periodo di accanite discussioni accademiche sulla validità delle conclusioni dei ricercatori svedesi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) pubblicava nel volume delle Recommendation del 1993 la ferma raccomandazione, appunto, di adottare il valore di CMA di 10 µg/L [2]. Anche l’ultima direttiva dell’Unione Europea pone tale limite.

Negli Stati Uniti è maturata la convinzione, e la conseguente decisione politica, di considerare questo valore poco cautelativo e di consigliare concentrazioni massime di 5 per l’immediato e di 3 come obiettivo finale. Ciò è evidenziato dalla decisione, del maggio del 2000, dell’allora Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton di stanziare finanziamenti per avviare il risanamento delle acque potabili per quel che riguarda l’abbassamento del limite dell’arsenico a 5 µg/L. Questo dopo una serie di incontri con i responsabili dell’EPA (Environmental Protection Agency) e di esperti del settore che avevano dimostrato che il mantenimento dei limiti attuali prevede un valore di probabilità aggiuntiva di cancro dell’ordine di 10-4. (www.nytimes.com, 24 maggio, 2000).

Ma, a parte questi risultati non positivi, oramai acquisiti definitivamente per l’arsenico, anche per altri elementi e composti in traccia la normativa internazionale, calata in genere con un certo ritardo in quella vigente nei diversi Paesi, diveniva via via più restrittiva. L’approfondimento delle ricerche idrogeochimiche ed epidemiologiche indicava, inoltre, che non sempre le acque naturali, anche in condizioni inalterate, rispondevano a questi requisiti di qualità, come evidenziato da nuove ricerche sperimentali condotte recentemente nella Toscana e nel Lazio in collaborazione con l’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (Arpat) e l’Istituto di Ricerca sulle Acque (Irsa-Cnr), rispettivamente [3, 4]. Per quanto riguarda l’Italia, preoccupa l’approvvigionamento idrico per scopi irrigui, al quale è destinata la metà di tutti i prelievi di acqua nel Paese. Come ha ricordato il ministro per le Politiche Agricole Giovanni Alemanno nella Giornata mondiale dell’acqua (22 marzo 2002), la situazione è destinata a peggiorare, tanto che “nel 2005 mancherà addirittura il 57 per cento dell’acqua necessaria a irrigare i campi”.

A livello europeo, per esempio, di recente il Consiglio d’Europa, stabilendo i princìpi e i requisiti generali della legislazione alimentare (“Posizione Comune” definita il 17 settembre del 2001), ha precisato che “l’acqua viene ingerita, come ogni altro alimento, direttamente o indirettamente, contribuendo così al rischio complessivo al quale si espongono i consumatori attraverso l’ingestione di sostanze, tra cui contaminanti chimici e microbiologici”. Nella stessa occasione, il Consiglio ha anche istituito l’Autorità Europea degli alimenti, che, nel suo operato, “tiene conto della salute e del benessere degli animali, della salute dei vegetali e dell’ambiente” (CE N. 2, G. U. della Comunità Europea. del 7.01.02). In tale maniera, anche l’acqua per usi agricoli viene a essere inclusa indirettamente, ma sostanzialmente, tra gli alimenti. Di conseguenza, il controllo della salubrità dell’acqua potabile e di quella per usi agricoli, dovrebbe divenire competenza del Ministro per la Salute, tenuto a vigilare su tutta la filiera produttiva (dalla sorgente al rubinetto, o alla bottiglia di acqua minerale). Certo, per far questo, sarebbe necessario compilare rapidamente un inventario di tutte le risorse idriche disponibili, sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo, colmando una antica e consolidata lacuna conoscitiva e progettuale del nostro Paese. Inoltre, gli enti gestori dovrebbero provvedere a progettare, gestire e certificare tanto i sistemi di approvvigionamento e distribuzione che la merce fornita, sotto rigidi controlli igienici e sanitari. Un’occasione unica per dare impulso a iniziative di ricerca e per avviarsi realmente verso uno sviluppo compatibile e condivisibile.

La corsa già iniziata, che subirà comunque una marcata accelerazione nell’immediato futuro, è orientata alla necessità di reperire urgentemente le quantità di acque potabili di sicura salubrità secondo le ultime evidenze sopra riportate. Questo obiettivo potrà essere raggiunto solo seguendo due percorsi integrativi e spesso interagenti tra di loro. Da un lato è necessario andare a prelevare le acque di qualità e quantità sufficienti e necessarie dove sono reperibili acquiferi con queste caratteristiche e, dall’altro lato, può risultare necessario provvedere anche alla depurazione delle acque che non rispondano “naturalmente” ai requisiti richiesti. Si comprende facilmente a questo punto come i previsti aumenti dei prezzi delle acque potabili siano causati direttamente da un notevole incremento dei costi da affrontare. In effetti, sottoporre alle leggi di mercato un bene primario indispensabile a tutti, necessita di un maggiore esborso da parte degli utenti ma presenta anche un rischio elevato sotto il profilo sociale e sanitario, nel caso non vengano adottate rigide misure di controllo. Tutto questo discende dall’alto costo degli approvvigionamenti e della distribuzione e dalla conseguente concorrenza che si scatenerà tra le multinazionali. Anche per tale motivo è richiesto urgentemente che i governi del territorio e della salute, sia a livello centrale che locale, prendano tutte le iniziative atte a pianificare l’approvvigionamento, la destinazione e l’uso di una risorsa tanto preziosa e purtroppo già molto scarsa. In Italia, in particolare, è urgentemente necessario recuperare i ritardi accumulati negli ultimi decenni dato che attualmente non esistono statistiche e dati di base esaurienti, sufficienti cioè al controllo del rispetto delle nuove normative sulla qualità delle acque potabili sia a livello centrale che periferico.

Le acque come alimento: acque potabili e minerali

Attualmente le acque minerali hanno assunto un ruolo succedaneo e sostitutivo nei riguardi delle acque potabili servite dagli acquedotti, a volte anche a causa della scarsa qualità di queste ultime e dalla loro fornitura insufficiente e/o discontinua. Questo bisogno è in parte reale e in parte ascrivibile alla percezione degli utenti, anche per il contributo di una pubblicità sulle vantate proprietà terapeutiche e alimentari del prodotto, quasi mai supportate da univoci risultati sperimentali. L’Italia è il Paese al mondo maggiormente dipendente dalle acque minerali, come indicato dal loro consumo sistematico da parte di ben oltre il 50 per cento delle famiglie, da un consumo pro capite di circa 125 litri/anno, dall’esistenza di oltre 300 impianti di produzione, e così via. La normativa vigente e in fieri prevede per le acque potabili valori per la concentrazione massima ammissibile molto cautelativi, e quindi bassi, per elementi in traccia e composti, significativi sotto il profilo tossicologico. Secondo la legislazione vigente, questi limiti purtroppo non sono sempre applicati alle acque minerali, perché queste vengono considerate “bevande”, per le quali sono applicati valori molto meno restrittivi. Questa incongruenza è giustificata, in teoria, dalla considerazione, falsa per le acque minerali, che le bevande non possano essere assunte nella stessa quantità delle acque potabili. L’esempio relativo al piombo può sottolineare la inconsistenza di questo assunto e il relativo rischio per la salute che ne consegue. La CMA di questo elemento per il vino è più elevato di quello previsto per le acque potabili, e si spiega con il fatto che se una persona ne assumesse due litri al giorno, prima di avere problemi per intossicazione da piombo, incorrerebbe in altre gravi controindicazioni per la salute. Purtroppo questo limite è stato valido per un lungo periodo, e sino ai nostri giorni, anche per le acque minerali.

Per approfondire, su basi scientifiche e quindi in termini quantitativi, la problematica è indispensabile fornire informazioni aggiornate sulla legislazione attuale. Le tabelle 1 e 2 presentano i dati più importanti al riguardo anche sotto il profilo della loro congruità con le reali esigenze dettate dalle più aggiornate conoscenze scientifiche. La prima tabella fornisce i dati relativi ai dettami normativi attuali per l’accettabilità delle acque potabili e per le acque reflue, assieme a notizie sulla circolazione in natura e sulle caratteristiche di biodisponibilità e tossicità di numerosi elementi significativi anche sotto il profilo nutrizionale. Questa tabella non può essere considerata completa per la mancanza di tutte le informazioni geochimiche e biologiche di base, necessarie e sufficienti alla sua corretta costruzione. E’ però da sottolineare che i dati sicuri ivi riportati sottolineino la dicotomia tra scienza e azioni di governo del territorio e dell’ambiente. Per alcuni elementi in traccia di rilevanza tossicologica si può osservare una discrepanza tra i dati relativi alla mobilità geochimica, alla biodisponibilità e alla tossicità cronica, da un lato, e leggi e normative a difesa della salute, dall’altro. Se si scorrono le cifre relative ai valori di concentrazione massima ammissibile previsti dalla legislazione attuale per le acque potabili e di scarico per i tre elementi arsenico, piombo e mercurio, si nota come tali valori siano ben diversi per i tre elementi e molto più restrittivi per gli ultimi due. In effetti l’arsenico risulta cancerogeno anche a basse dosi, mentre piombo e mercurio non risultano esserlo e non presentano inoltre elevata tossicità cronica. La tabella 2 riporta i valori limite di concentrazione di elementi significativi sotto il profilo tossicologico e nutrizionale per le acque minerali tanto secondo la vecchia normativa (colonna Y) che secondo quella recente (colonna X) pubblicata un anno fa sulla Gazzetta Ufficiale. Per un utile ed esauriente confronto con quanto stabilito per le acque minerali, sono riportati anche i dati relativi alle acque potabili.

Anche questa tabella mostra incongruenze e, secondo le informazioni scientifiche più aggiornate, non risulta in grado di salvaguardare pienamente la salute pubblica. Questa inadempienza deriva dal fatto che le acque minerali sono state considerate, non sempre a ragione, con proprietà curative e persino taumaturgiche, ma attualmente il loro uso in Italia risulta del tutto equivalente, sostitutivo ed equipollente rispetto all’acqua potabile, con circa 130 litri di consumo annuale pro capite. Nella tabella sono riportati i valori delle concentrazioni di numerosi costituenti ammessi, rispettivamente, dal Decreto del 1992 (colonna Y) e del Decreto del 2001 (colonna X). Sono stati apportati significativi miglioramenti rispetto alla vecchia legge, come l’abbassamento della soglia per piombo e arsenico, rispettivamente, da 50 a 10 e da 200 a 50 µg/L. Ma non si capisce proprio perché, anche per questo recente Decreto, non vengano adottate le iniziative necessarie al rispetto della salute pubblica anche per le acque minerali. Il limite per l’arsenico totale è di 50 µg/L, che risulta sicuramente dannoso per un uso continuativo, per il boro sono ammessi valori sino a 5 mg/L mentre per le acque potabili il limite è di 1 ed il livello consigliato dall’Unione Europea è di 0,3 mg/L. Non si comprende inoltre perché per tutti i componenti non presi in considerazione anche dal recente Decreto siano previsti valori di concentrazione ben definiti e limitativi per le acque potabili.

Un problema mondiale

Tra tutti i rilevanti problemi ambientali, sanitari e sociali attualmente sul tappeto, gli scenari più critici e preoccupanti riguardano l’approvvigionamento idrico. In tutto il mondo, e in Italia in particolare, sussiste, infatti, una carenza cronica di acque per usi umani, carenza che diventerà drammatica, specie per quelle potabili, nel breve volgere di pochi anni. Le acque naturali giocano un ruolo essenziale nel sostentamento dell’umanità, e di tutti gli ecosistemi, perché non solo forniscono e rigenerano il supporto indispensabile a ogni forma di vita e di attività biologica che si realizza esclusivamente in mezzo acquoso, ma costituiscono anche un alimento indispensabile, dato che numerosi elementi essenziali hanno nell’acqua potabile la fonte più rilevante per le necessità metaboliche e fisiologiche. Purtroppo anche elementi tossici possono essere assunti e indurre problemi sanitari, se presenti in concentrazioni significative. Per tutti questi motivi le indicazioni da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, del Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) e degli enti statali che si occupano di protezione dell’ambiente e della salute sono sempre più rigide e vincolanti per quel che riguarda i valori di CMA relativi a tutti gli elementi con elevata tossicità cronica, come risulta dai dati riportati in tabella 1. Le informazioni più aggiornate relative alla rivoluzione in atto nell’approvvigionamento delle risorse idriche e nel conseguente assetto economico, finanziario e sociale, indicano che nei prossimi 5-10 anni si assisterà a incrementi nei prezzi della fornitura al pubblico di acque potabili di un fattore moltiplicativo di 5-10. Queste previsioni, confermate dall’accaparramento di sistemi acquedottistici in atto da parte di multinazionali dei servizi, possono avere effetti dirompenti sullo sviluppo compatibile e sulle condizioni finanziarie, sociali e sanitarie dei singoli e delle comunità. Si sono già verificati, purtroppo, due eventi convergenti verso questo risultato: da un lato le ricerche più recenti di tossicologia, epidemiologia e geochimica ambientale hanno dimostrato che molti elementi in traccia presentano elevatissima tossicità, sino a giungere a marcati effetti carcinogenici se assunti con continuità anche a dosi molto basse (elevata tossicologia cronica), e che in molti Paesi si sono verificati gravi danni alla salute della popolazione quando le concentrazione di questi elementi nelle acque potabili hanno superato i limiti di sicurezza, adottati di recente dalle nuove normative internazionali in atto e in preparazione. Dall’altro lato, non risulta assolutamente facile reperire acquiferi, della qualità richiesta dalla nuova normativa e nella quantità necessaria al bisogno, specie degli estesi agglomerati urbani. Risulta pertanto necessario approvvigionarsi di acque di buona qualità laddove esse si trovano, distanti quindi anche centinaia di chilometri dal luogo di utilizzo, e/o provvedere a purificare le acque naturali che non rispondano ai requisiti richiesti.

Alcuni secoli fa la specifiche qualitative e quantitative del ciclo biogeochimico dell’acqua erano del tutto simili a quelle riscontrabili ai tempi dei dinosauri (60-100 milioni di anni fa). Tra 1000 anni la qualità delle acque naturali non sarà ritornata a queste condizioni, perché le pressioni dell’uomo sull’ambiente, e in particolare sulle sfere geochimiche più intensamente interagenti con la biosfera (atmosfera, idrosfera, pedosfera), hanno già portato a modificazioni sostanziali, e irreversibili alla scala dei secoli e dei millenni, dell’ambiente superficiale. Non solo gli elementi in traccia con tossicità cronica molto elevata sono stati disseminati alla superficie con concentrazioni e biodisponibilità molto più elevate di quanto riscontrabile in condizioni indisturbate, ma le attività umane (abusivismo, opere pubbliche, perforazioni, emungimenti di acque e di idrocarburi, ecc.) hanno anche distrutto tutti i diaframmi naturali esistenti tra superficie e sottosuolo; in questa maniera sono stati alterati e contaminati anche gli strati e le acque profondi. E’ da sottolineare che gli elementi chimici sono non biodegradabili, ma indistruttibili ed eterni; continueranno quindi a circolare sino alla fine della Terra, secondo le modalità dei cicli biogeochimici di ciascuno di essi.

Un caso italiano.

A differenza di quello che normalmente si crede, l’Italia si trova, in media, in una condizione molto favorevole circa la disponibilità di acque naturali, anche idropotabili, di qualità accettabile. La piovosità è, infatti, superiore alla media dei Paesi a clima temperato perché la nostra penisola e le Isole sono protese nel Mediterraneo verso sud e i venti meridionali e di sud-ovest apportano elevati flussi di umidità atmosferica, che si condensa soprattutto in corrispondenza dei primi rilievi che incontrano sul loro percorso; zone della Calabria, del Friuli, del Trentino e della Toscana settentrionale (Alpi Apuane) raggiungono, infatti, un valore di precipitazioni annuali spesso maggiore di 2.000 mm/anno. Anche in altre regioni italiane si osservano sovente precipitazioni di almeno 1.000 mm/anno, a parte limitate aree della Puglia e dell’interno della Sicilia ove, con precipitazioni dell’ordine di meno di 600 mm/anno e temperature medie elevate, si hanno condizioni predesertiche.

Può essere opportuno esaminare la situazione critica che si verifica nell’approvvigionamento idrico della Toscana, perché può rappresentare una caso emblematico valido per tutto il Paese. Si tratta infatti di una regione con antichissima e valida tradizione politica, scientifica e culturale, governata, in genere, senza sprechi. Le disponibilità finanziarie delle istituzioni locali sono considerevoli e la popolazione è dotata di redditi mediamente elevati e ha, per giunta, esercitato sempre un controllo sociale sulle scelte politiche e programmatiche. Chi scrive ama la Toscana e la sua gente; quanto qui discusso vuole essere proprio una iniziativa a tutela dei diritti della sua comunità umana e del suo ambiente. I ritardi accumulati nei piani di approvvigionamento idrico, specie idropotabile, sono addebitabili soprattutto a una mancata presa di coscienza a tempo debito dei gravi problemi immanenti nel settore ambientale, sanitario, sociale e finanziario. Probabilmente la colpa originaria è attribuibile alla comunità scientifica intera che non si è resa conto per tempo della gravità dei problemi immanenti e degli scenari previsti, con l’aggravante di non perseguire tenacemente l’impostazione interdisciplinare e olistica alla soluzione di problemi complessi. In questa regione operano infatti università di ottimo livello (come Firenze, Pisa e Siena) con gloriose tradizioni nel settore di tutte le discipline afferenti alle Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali. Il nocciolo del problema è forse riconducibile anche a una consolidata arretratezza culturale e istituzionale del nostro Paese, nel senso che prevenire e minimizzare i rischi e i danni conseguenti significa soprattutto conoscere e prevedere, come il governo del territorio, dell’ambiente e della salute pubblica pretende necessariamente di imboccare la strada della prevenzione e non della cura tardiva, costosa e non molto efficiente, come chiaramente indicato da tutti i documenti programmatici degli enti internazionali di ricerca e sviluppo (per esempio UNESCO, 1995) [5].

La situazione specifica della Regione Toscana, anche con riferimenti storici recenti, può essere sintetizzata partendo dalla mappa relativa alla distribuzione dei valori di salinità, espressi dai dati della conducibilità elettrica, di circa 1000 campioni di acque superficiale raccolti con regolarità sull’area dell’intera regione ed esaminati alla negli anni Sessanta, come indicato nella figura [6]. Questa rappresenta una fotografia riferita a quasi 40 anni fa, delle condizioni ambientali e della distribuzione della qualità delle acque naturali nella Regione, ma in tutto il tempo trascorso non sono stati più effettuati rilievi di tale ampiezza. Le acque di buona qualità sono caratterizzate da bassa salinità (tondi di piccole dimensioni nella figura), mentre salinità più elevate indicano concentrazioni relativamente elevate di CaSO 4 e NaCl. La carta presentata indica che acque con bassa salinità sono presenti soprattutto nella Toscana settentrionale (Alpi Apuane, Garfagnana, alto e medio bacino dell’Arno con relativi affluenti) mentre in ampie zone della Toscana meridionale compaiono estesi aloni di dispersione idrogeochimica di acque scorrive con elevata salinità. Ampi settori di questa area sono inoltre interessati da importanti processi idrotermali, evidenziati dai numerosi campi geotermici (Larderello e Monte Amiata) e sorgenti termali, di giacimenti polimetallici a solfuri, sfruttati questi con continuità negli ultimi millenni. Questi vistosi processi naturali, con le relative alterazioni antropiche dovute anche alla estrazione mineraria, causano un forte arricchimento di tutti gli elementi minori e in traccia di elevata tossicità cronica (As, B, Hg, Mn, Pb, ecc.) nei mezzi disperdenti superficiali e nella acque naturali in vastissime aree delle province di Grosseto, Siena e Pisa. A questo si deve aggiungere l’effetto distruttivo delle falde costiere causato da emungimenti eccessivi e da contaminazioni estese e intense. Le piane di Follonica e di Grosseto sono caratterizzate attualmente da una progressiva salinizzazione delle acque per ingressione di acqua marina; ingressione che giunge, secondo rilevamenti recenti, fin sotto la città di Grosseto.

In definitiva le risorse attualmente disponibili sono del tutto insufficienti a soddisfare i bisogni umani, con particolare riferimento ai fabbisogni idropotabili. Nuove risorse tradizionali all’interno della regione possono essere rinvenute solo negli alti bacini dei fiumi Arno, Ombrone, Paglia, Albegna e Fiora, oltre che Lima, Serchio e Pescia nel Nord e nel comprensorio delle Alpi Apuane. I bassi bacini di tutti i fiumi sono ormai irrimediabilmente inquinati e non possono essere impiegati per usi potabili. Già da tempo la città di Firenze non ha avuto altre possibilità se non quella di ricorrere alle acque del fiume Arno per i propri approvvigionamenti, ma Pisa non potrebbe proprio fare altrettanto. Il programma relativo ai programmi di nuovi e aggiuntivi approvvigionamenti idrici è tutto da pensare e sarà discusso nelle conclusioni.

Al caso emblematico dell’intera Toscana il caso paradossale dell’Isola d’Elba può fornire nuovi spunti di riflessione. Quest’isola è la maggiore dell’arcipelago toscano e gode di condizioni ambientali e climatiche eccezionalmente positive per quel che riguarda la disponibilità di risorse naturali e paesaggistiche. Anche l’acqua di buona qualità è una delle risorse presenti in abbondanza. La presenza di rilievi protesi sul mare, e in particolare del Monte Capanne con la sua altezza di poco superiore a 1000 metri, causano precipitazioni, dall’aria caldo-umida proveniente dal quadrante sud-occidentale, che risultano in media sui 700 mm/anno, con picchi di 1000 a nord del Monte Capanne. Nel 1986 e nel 1999 sono stati pubblicati due interessantissimi e accurati studi idrogeologici e idrogeochimici dell’Isola d’Elba [7,8]. Sono stati censiti tutti i pozzi e le sorgenti e sono state effettuate nuove misure di portata e di chimismo. Il totale della disponibilità risulta di circa 0,5 m3/sec di acque di qualità accettabile, utilizzate in prevalenza da acquedotti. Queste ricerche non hanno però esaminato, e non hanno quindi potuto fornire dati, sulla falda acquifera in corrispondenza della pianura di Marciana Marina perché in tale area non sussistono pozzi utilizzati dai comuni. In effetti è questo l’acquifero più importante di tutta l’Isola perché importanti falde di subalveo dei due fiumi confluenti nel golfo sono presenti nei sedimenti permeabili che coprono la pianura. La stima fornita dallo studio citato di un totale per l’isola di 0,5 m3/sec deve pertanto essere considerata fortemente per difetto. Chi scrive aveva effettuato nel maggio del 1961, in collaborazione con studiosi dell’Università di Firenze, una ricerca geochimica sulle acque naturali dell’Isola. Le misure delle portate dei fiumi e torrenti che si irradiano dal Monte Capanne, fornivano un risultato complessivo di circa 0,5 m3/sec, nel mentre le caratteristiche merceologiche e nutrizionali delle acque risultavano praticamente identiche ad una nota acqua oligominerale di Poggio.

Quanto riportato vuole sottolineare come nel nostro Paese agisca sovente anche una impostazione antiscientifica e antisociale e a tutela di pseudo diritti. Se un ecosistema quale quello dell’Isola d’Elba fosse presente in Palestina o in Israele, ma anche in molte aree dell’Asia centrale e persino degli Stati Uniti e dell’Australia, sarebbe utilizzato pienamente per l’approvvigionamento idrico anche di aree prossime, ricorrendo semplicemente alla eliminazione dei gravissimi abusivismi e degli sprechi. L’Italia in effetti è uno dei pochissimi Stati al mondo nel quale l’abusivismo viene in genere sopportato e anche legalizzato. Ma è contro l’interesse generale che un privato si appropri di un bene comune prezioso come l’acqua, sottraendolo alla comunità umana e agli ecosistemi.

Che fare?

Gli esempi emblematici presentati per la Toscana e l’Isola d’Elba indicano che entrambe potrebbero risultare autosufficienti per l’approvvigionamento idropotabile, anche attualmente, pur con la pressione esercitata all’Isola d’Elba da centinaia di migliaia di turisti nel periodo di punta, se si fossero prese a suo tempo le iniziative opportune e necessarie che fanno riferimento soprattutto alle seguenti iniziative. Tali iniziative risultano valide, e lo risultavano anche per il passato, anche per tutte le altre regioni italiane, con una maggiore disponibilità idrica, ma con l’aggravante per molte regioni del Nord di un maggiore deterioramento causato dagli inquinamenti antropici specie di origine industriale. Nella sostanza, si tratterebbe di:
– Provvedere a effettuare ricerche, valutazioni e controlli basati su ricerche sperimentali e monitoraggi accurati, non solo sulla disponibilità di acque in quantità e qualità necessarie e sufficienti ai bisogni, ma anche su tutte le pressioni ambientali che, direttamente o indirettamente, causino un danno alla risorsa acqua. Questo aspetto ha una evidente attualità se si considera che la costruzione della carta riportata risale a oltre 35 anni fa; da quei tempi lontani non sono stati più effettuate ricerche di tale ampiezza e completezza, ma i pochi dati, disomogenei e disaggregati, attualmente disponibili indicano chiaramente che i bassi corsi di tutti i fiumi provenienti dagli Appennini e dalla Alpi Apuane presentano salinità e composizione molto alterate e risultano talmente inquinati che non è possibile utilizzare le loro acque per finalizzazioni idropotabili.
– Controllare con continuità, e conseguentemente tendere ad attenuare gradualmente e ridurre drasticamente le alterazioni e contaminazioni antropiche.
– Eliminare, o quanto meno regolamentarne ed abbassarne il livello, il dilagante abusivismo relativo non solo agli emungimenti di acque sotterranee, ma anche tutte le alterazioni antropiche che, direttamente o indirettamente, provocano un grave degrado della risorsa idrica. Questo problema solleva il velo su di un dramma generalizzato nel mondo ma che è accentuato in Italia, dato che in molti altri paesi sviluppati sussistono da lunga data la volontà politica ed i mezzi per contrastare questo tipo di appropriazione indebita.
– Controllare e scoraggiare, anche con la formulazione e l’applicazione di leggi adatte, l’abusivismo ambientale legalizzato connesso alle costruzioni di grandi infrastrutture civili (costruzione di gallerie, perforazioni e sondaggi per ricerche diagnostiche e minerarie, petrolifere, di acque, scavi profondi, costruzioni di oleodotti e gasdotti, autostrade ecc.) che portano direttamente (anche se non volutamente, ma neppure prendendo in considerazione e valutando attentamente le conseguenze) alla distruzione di importanti acquiferi e allo sconvolgimento degli equilibri idrogeologici e ambientali.
– Progettare, costruire e gestire infrastrutture semplici, quali dighe non elevate (anche in terra battuta) per conservare l’acqua dei fiumi in aree montane; per riferirsi al caso discusso della Toscana quelli provenienti dalle Alpi Apuane, dagli Appennini e anche dal Monte Capanne. Questo punto merita qualche approfondimento dato che è stato dimostrato che la presenza di laghi, anche artificiali, consente un raffreddamento significativo delle aree interessate a causa sia del calore latente di evaporazione dell’acqua che della minore frazione di energia solare assorbita dall’acqua rispetto a qualsivoglia manufatto e a suoli privi di abbondante vegetazione. Ma per un antiscientifico senso pseudoecologico la costruzione di laghi artificiali è stato sempre ostacolato dai mezzi di informazione, dalla opinione pubblica, e quindi spesso dai gestori del territorio. E’ assolutamente necessario distinguere tra costruzioni di gigantesche dighe per produzione energetica e/o irrigazione e dighe di piccole dimensioni, positivamente inserite nel paesaggio e fonte di svago e sport per residenti e turisti. Al riguardo, non si ricordano le centinaia di dighe dell’arco alpino che hanno prodotto benessere e valorizzazione delle risorse ambientali e turistiche ma soprattutto riserva e fonte della risorsa più importante, oltre che estremamente scarsa e quindi preziosa: l’acqua potabile.
– Programmare, progettare e gestire correttamente approvvigionamenti sicuri in termini regionali e anche sovrarregionali.
– Prevedere approvvigionamenti anche a distanze di centinaia di chilometri, come attuato già nel 1905 per la metropoli di Los Angeles.

Nelle città di Roma, Milano e Firenze non si conosce il numero di pozzi per approvvigionamento idrico, quelli censiti sono diverse migliaia per ciascuna città, ma nessuno ha idee seppur vaghe sul numero e sull’entità degli emungimenti abusivi; lo stesso accade in tutto il Lazio, nella Pianura Padana e nei bassi e medi corsi di tutti i fiumi italiani, che vengono sistematicamente e abusivamente depauperati lungo il loro corso anche delle acque scorrive. Nella piana di Marciana Marina (Isola d’Elba) non sussistono emungimenti apprezzabili per finalizzazioni pubbliche, nel mentre la salinizzazione della falda più consistente dell’Isola ha molto progredito verso l’interno a causa dell’ingressione marina, richiamata dai forti emungimenti. In definitiva, gli acquiferi di subalveo dei fiumi più importanti, che hanno fornito per secoli acqua alle comunità umane, non sono più utilizzabile perché sconvolti, depauperati e inquinati dalle alterazioni antropiche. In definitiva, recenti statistiche dell’Istat riportano che in Toscana il 30 per cento della popolazione non dispone di acqua potabile, ma in effetti anche il restante 70 per cento non dispone sempre di acqua realmente potabile secondo le indicazioni attuali. L’isola d’Elba viene rifornita dal continente di acqua “potabile” con una condotta sottomarina, ma questa acqua non risulta potabile anche secondo i dati della Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana.

L’Italia ha, ma soprattutto aveva nel complesso e in media, condizioni naturali molto favorevoli per il reperimento di acque per uso umano, e segnatamente per uso potabile, di buona qualità e in quantità sufficiente per le esigenze della popolazione e delle attività umane. A questo stato di cose corrisponde attualmente una situazione molto critica nel reperimento di risorse idriche. Tutti i paesi, sia quelli sviluppati che quelli più poveri si trovano in sostanza in condizioni analoghe, ma l’Italia, sia a livello centrale che regionale e locale in genere, si viene a trovare in condizioni ben peggiori perché c’è da recuperare un lungo arretrato verificatosi nelle iniziative scientifiche, normative e di governo del territorio. Governare bene vuol dire innanzitutto prevedere correttamente; sotto questo aspetto sussiste probabilmente una corresponsabilità tra comunità scientifica e governo del territorio e delle risorse perché i problemi relativi all’approvvigionamento e alla salvaguardia delle risorse naturali non è stato mai posto dalla comunità scientifica, in termini scientificamente validi sotto il profilo olistico e ultimativi per la chiarezza delle indicazioni, con l’obiettivo primario di proporre soluzioni e adattamenti atti a disegnare scenari presenti, e soprattutto futuri, il meno tempestosi possibile. Ma altro aspetto non positivo fa riferimento alla dicotomia che si è andata sempre più consolidando tra mondo scientifico e gestione del territorio, unita alle competenze suddivise tra molti soggetti decisionali e gestionali non sempre comunicanti tra di loro.

Per proporre esempi eloquenti si può partire dal dato di fatto che il nostro è l’unico paese tra quelli sviluppati, e non solo, a non disporre di un inventario aggiornato e completo delle specifiche merceologiche e qualitative delle risorse idriche presenti nel nostro territorio. Non esiste alcun inventario sulla qualità delle acque utilizzate per fini idropotabili e umani in genere né a livello locale e neppure centrale. Questo è evidenziato dall’assenza di dati in merito tanto nelle Statistiche Ambientali dell’Istat del 1993 e del 1996 che nelle recenti pubblicazioni equipollenti del Ministero dell’Ambiente. In assenza di un punto di riferimento sicuro sulla valutazione qualitativa e quantitativa delle risorse, non risulta proprio facile programmare per tempo gli interventi strategici relativi. A questo deve essere aggiunto che molte acque naturali non rispettano i requisiti di quelle potabili per cause del tutto naturali, anche in aree non ancora compromesse da vistose alterazioni umane. Questo discende dal fatto che processi idrotermali attuali portano alla superficie fluidi ricchi in elementi mobilizzati in tali condizioni, che risultano fortemente tossici, come arsenico, mercurio, boro, fluoro. Questi elementi, specie se dotati di elevata mobilità geochimica e biodisponibilità, entrano nel circuito delle acque superficiali scorrive e sotterranee. Lo stesso risultato può ottenersi per interazione con formazioni geologiche con concentrazioni anomale di tali elementi, come accade in corrispondenza delle vulcaniti alcali-potassiche del Quaternario. Acque con elevate concentrazioni di questi elementi sono frequenti in ampie zone di Toscana, Lazio, Campania e nelle aree con vulcanismo attivo come l’Isola di Vulcano. Solo un esempio è sufficiente a illustrare lo stato attuale: il lago di Vico potrebbe essere una rilevante risorsa idropotabile del Lazio, ma, pur in assenza di apprezzabili inquinamenti e solo a causa di interazione con rocce molto ricche in questo elemento, presenta concentrazione di arsenico di 15 µg/L e non risponde quindi alle indicazioni delle ultime direttive della Ue. A questo si aggiunga ancora che gli organi preposti al controllo sanitario non sono attualmente in grado di effettuare tutti controlli previsti per il rispetto della normativa più recente. Il risultato di tutti questi eventi è che numerose acque fornite come potabili, tali non possono essere considerate a causa del superamento dei valori di CMA previsti dalla normativa attuale dell’Unione e di quella già prevista per il 2003 per il nostro paese.

Nel mondo politico e tra i cosiddetti “esperti” si discute estesamente se sia necessario adottare rapidamente le indicazioni della comunità scientifica di abbassare i valori di CMA delle acque potabili per elementi e composti che abbiano dimostrato tossicità cronica molto elevata, dato che è possibile ricorrere a dilazioni e/o limitazioni della legge oppure a deroghe anche se limitate nel tempo o nello spazio. E’ questo un tipico non senso scientifico e politico perché, una volta che venga stabilito in termini definitivi dalle ricerche tossicologiche che l’assunzione continuativa di acque con concentrazioni per esempio maggiore/uguale a 10 µg/L di arsenico comporta un rischio aggiuntivo > 1×10-4 di insorgenza di malattie tumorali, risulta assolutamente necessario effettuare tutti gli accurati controlli necessari ed evitare assolutamente quindi che vengano fornite come potabili acque che superino questi limiti. Questo vale tanto per le acque servite dagli acquedotti come pure per le acque minerali. In termini conclusivi, la situazione italiana risulta essere estremamente critica – e molto di più lo sarà nel prossimo futuro – per l’approvvigionamento idropotabile, perché non esiste un inventario accettabile sulla disponibilità e qualità delle risorse disponibili e anche i nuovi piani acquedottistici in attuazione non hanno preso nella dovuta considerazione che per domani mattina, e non tra 10 o 20 anni, le acque destinate a uso potabile dovranno rispondere a requisiti estremamente vincolanti, soprattutto per quel che riguarda la concentrazione di elementi in traccia che possono indurre gravi rischi aggiuntivi alla salute, 100 o 1000 volte più elevati di quelli ai quali è sottoposto il consumatore abituale di carne bovina anche contagiata dal morbo BSE.

Altro aspetto rilevante è quello relativo alla salvaguardia degli ecosistemi tutti, sia marini acquatici e terrestri. Questi sono sottoposti a numerosissime pressioni di varia origine e gravità, ma una delle più gravi è quella esercitata dal degrado della qualità delle acque naturali che sono il loro insostituibile supporto. Anche gli ecologi dovrebbero dare il loro insostituibile contributo all’estensione delle ricerche e all’approfondimento delle conoscenze sulla qualità delle acque naturali e sul loro controllo perché le esigenze per molti ecosistemi sono analoghe a quelle delle acque potabili per la specie umana. Recentissime ricerche condotte negli Usa indicano per esempio che per gli ecosistemi acquatici il valore limite per la concentrazione di selenio nelle acque è di 5 µg/L contro il valore di 10 previsto dalla recentissima legislazione per le acque potabili, perché la magnificazione biologica lungo la catena trofica può provocare gravi danni agli ecosistemi anche per concentrazioni così basse. Anche in presenza delle iniziative riparatrici più opportune e più tempestive, passerà quindi sicuramente moltissimo tempo prima che il sistema delle acque naturali del nostro paese possa avvicinarsi alle condizioni riscontrate ai tempi dei dinosauri; né è dato attualmente di sapere se effettivamente l’uomo nuovo, più sensibile ai problemi esistenziali dell’ecosistema globale e della propria specie, sarà effettivamente in grado di approssimare questo risultato, che, presumibilmente, non potrà più essere raggiunto persino nei prossimi secoli. Queste azioni riparatrici debbono partire urgentemente da valutazioni aggiornate e complete sulla disponibilità di acque naturali di sicura salubrità e nelle quantità richieste. Un simile inventario deve riguardare anche tutte le possibili fonti alternative, dalle acque ottenute per dissalazione a quelle ottenibili da sottoprodotti di fonti energetiche, quali la geotermia, alla miscelazione di acque di diversa origine e caratteristiche atte a fornire un prodotto utilizzabile per fini alimentari. E a queste dovranno seguire le fasi progettuali e realizzative atte a garantire la fornitura di un servizio basilare socialmente giusto ed efficiente.

Tutte queste azioni andrebbero avviate rapidamente, conseguendo in tal maniera importantissimi risultati sociali, economici e finanziari. Il primo risultato riguarda la possibilità di coinvolgere in questa opera ciclopica alcune centinaia o migliaia di giovani diplomati e laureati disoccupati (attuali o futuri), chiamati a progettare uno scenario di difesa della salute pubblica e di benessere. Il secondo risultato è individuabile nel poter ridurre drasticamente gli esborsi finanziari a carico della comunità nazionale e/o dei singoli utenti. Un importantissimo documento dell’UNESCO (1995) sottolinea, infatti, che in questi settori “la prevenzione è molto meglio della cura”. La prevenzione è individuabile nelle iniziative qui proposte e la cura riguarda il dovere rifare buona parte dei piani di approvvigionamento e acquedottistici per adeguarsi alle nuove indicazioni scientifiche a difesa della salute.

RINGRAZIAMENTI

L’acquisizione di nuovi dati sperimentali sulla qualità delle acque naturali della Toscana meridionale e del Lazio settentrionale, presentati anche in bibliografia, sono stati possibili dalla fattiva collaborazione dell’Istituto di Ricerca sulle Acque (IRSA-CNR) per il Lazio e dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana (ARPAT) per la Toscana meridionale. In collaborazione con quest’ultima sono in corso intense ricerche scientifiche per addivenire all’inventario della qualità e disponibilità delle acque naturali nella Toscana.

BIBLIOGRAFIA

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[2] WHO, “Recommendations”, Guidelines for drinking water quality, Vol. 1, Second Edition, Geneva, 1993.
[3] Dall’Aglio M., Barbieri M., Bazzoli P., Venanzi G., Agati L., Mantelli F., Calmieri R., “Drinking Water Quality in the Grosseto Province, Tuscany, Italy. An appraisal on the basis of the study of water rock interaction”, Proceedings of the Water Rock Interaction (WRI-10) International Congress, Cagliari, June 2001. Vol. 2, 1059-1062
[4] Dall’Aglio M., Giuliano G., Amicizia D., Andrenelli M.C., Cicioni Gb., Mastroianni D., Sepicacchi L., Tersigni S., Paces T., “Assessing drinking water quality in Northern Latium by trace elements analysis”, Proceedings of the Water Rock Interaction (WRI-10) International Congress. Cagliari, June 2001. Vol. 2, 1063-1066.
[5] UNESCO, A global Geochemical Database for Environmental and Resource management. Earth Sciences Series N. 19, 1995, 122 pages.
[6] Brondi M., Dall’Aglio M., Da Roit R., De Cassan P., Ghiara E., Gigli C., Gragnani R., Orlandi C., Paganin G., “Caratteristiche chimiche delle acque superficiali della Toscana”, SIMP, Vol. XXVII, La Toscana Meridionale, 1972, pp. 1-35.
[7] Bencini A., Pranzini G., Giardi M., Sacconi B. M., Le risorse idriche dell’Isola d’Elba, Tacchi Editore, Pisa, p. 91. Con tavole fuori testo.
[8] Gimenez Forcada E., Bencini A., Pranzini G., Studio preliminare sulla chimica delle acque di falda in alcune pianure costiere dell’Isola d’Elba, Quaderni di geologia Apllicata, 6-1, 1986, pp. 303.
[9] ISTAT, Statistiche ambientali, 1996, pp. 303.

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