Da trecento anni a questa parte, le eruzioni in tutto il mondo si concentrano maggiormente durante l’inverno boreale, cioè i mesi freddi per l’emisfero Nord. Il dato è legato ai cambiamenti nel livello del mare, almeno secondo un team di ricercatori della Cambridge University. Dall’indagine statistica, pubblicata sul Geophysical Research Letters, emerge che rispetto al resto dell’anno c’è una probabilità di eruzioni superiore del 18 per cento nei mesi del nostro inverno. Valore che arriva al 50 per cento per quanto riguarda la secolare attività vulcanica lungo la dorsale pacifica. Dopo aver vagliato diverse ipotesi per spiegare il fenomeno, il geologo Ben Mason a capo del gruppo di studiosi è riuscito ad individuare la possibile causa. Non si tratta né del terremoto né della marea, i soliti sospetti chiamati in causa per spiegare l’origine dell’attività vulcanica. L’indagato è il ciclo globale dell’acqua. L’emisfero settentrionale è ricoperto da una superficie di terra superiore rispetto a quello australe, perciò la pioggia e la neve che si riversano durante l’inverno boreale sono maggiormente assorbite dalle terre emerse di quanto non avvenga nell’emisfero Sud. Questo provoca un abbassamento di un centimetro del livello globale del mare durante i mesi freddi settentrionali. Il cambiamento di livello produce una piccola ma costante spinta lungo le linee costiere e le isole, una pressione che può far scattare l’eruzione vulcanica. La scoperta ha una notevole implicazione. Il cambiamento climatico sembra comportare cambiamenti del livello del mare e questo si potrebbe ripercuotere sulla frequenza delle eruzioni. (da.c.)
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