Alla ricerca dei giardini perduti

Giovan Battista Ferrari
Flora overo cultura di fiori
Firenze, Leo S.Olschki, 2001
pp. 566, euro 49,06

Se pensiamo alla città di Roma, ci vengono in mente ora soprattutto i suoi monumenti: San Pietro, il Colosseo, Piazza di Spagna. Ma a poche decine di metri da questi luoghi, frequentati da milioni di turisti ogni anno, ci sono altre meraviglie che nel tempo hanno perso il loro splendore, ma che costituivano un vanto della Città Eterna: i giardini. Non solo ornamenti alle dimore dei ricchi nobili, ma la realizzazione di idee scientifico-culturali dotate anche di una bellezza indiscutibile. A celebrare queste ormai appannate glorie, Olschki editore ripubblica un libro fondamentale per la comprensione della cultura dei giardini nell’Italia Seicentesca. La “Flora overo Cultura dei fiori”, del romano Giovan Battista Ferrari “della Compagnia di Gesù”, fu pubblicata in latino nel 1633 e tradotta in italiano nel 1638. L’edizione è uno splendido e curatissimo facsimile che racchiude la versione integrale italiana dei quattro libri di cui si compone l’opera, oltre a tre saggi introduttivi di Lucia Tongiorgi Tomasi, Alberta Campitelli e Margherita Zalum.

L’opera racchiude tutto lo scibile in materia di giardinaggio, e in essa confluiscono suggerimenti di botanica come di architettura, consigli per la conservazione dei fiori secchi e piccoli segreti alchemici per migliorare la crescita dei fiori. Risulta particolarmente interessante leggere la lunghissima lista dei giardini romani presi in considerazione dall’autore, molti dei quali, seppur drasticamente ridotti, sono ancora presenti nella città e nella provincia romana. Ognuno di questi aveva una particolare combinazione di disegno e flora che lo rendeva diverso dagli altri, così da distinguer la nobile famiglia che lo manteneva. E per alcuni di questi Ferrari ne riporta anche la topografia, dando così esempio di come si possa dar forma a un horto, e valorizzarne il contenuto.Il volume presenta però peculiarità degne di interesse per lo storico dell’arte. Come ben rilevato nell’introduzione di Tongiorgi Tomasi, la flora di Ferrari rispecchia il processo di moralizzazione che tra Cinquecento e Seicento coinvolge l’iconografia di questo settore. Nella cultura latina, la Flora era “meretrix”, simbolo di fertilità, dea di un culto orgiastico di volta in volta legato a Venere o alle ninfe primaverili. La controriforma ha invece legato la flora a un’immagine meno sensuale. Nelle parole dell’autore: “Si è pur finalmente trovata una Flora pudica, che non contamini i costumi; ma che semini i fiori negli animi meglio, che nella terra”. Le illustrazioni allegoriche che si trovano in abbondanza rendono ben conto di questo mutamento riportando un Flora dagli atteggiamenti composti, vestita, circondata da attrezzi da orticoltore, “quasi accattivante invito a sfogliarne le pagine”.

Importanti sono anche le incisioni di fiori e piante di buona precisione anatomica, nelle quali trovano posto soprattutto i vegetali esotici da poco importati dall’Oriente. I gesuiti ebbero d’altro canto parte importante nelle esplorazioni seicentesche dell’Asia, e sono ben documentati i legami di Ferrari con l’accademia dei Lincei, probabilmente l’istituzione scientifica più prestigiosa nella Roma dell’epoca. Una ripubblicazione (una precedente anastatica del 1975 è pressoché introvabile) quindi che può attrarre l’attenzione di studiosi di diverse discipline, e che ancora una volta conferma Olschki come uno degli editori più attenti alla storia, proseguendo un meritorio lavoro ormai secolare.

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