Alternativa in provetta

E’ una vittoria della scienza prima ancora che degli animalisti: prossimamente, anche in Europa alcuni dei test in vivo effettuati finora su animali saranno soppiantati da esperimenti in vitro, basati su cellule umane, più accurati e affidabili. Ma anche economicamente più vantaggiosi. È quanto ha annunciato Philippe Busquin, commissario europeo responsabile per la ricerca, in occasione della conferenza svoltasi lo scorso 12 maggio a Bruxelles. Nel corso della quale sono stati presentati i risultati del Cell factory project, uno studio coordinato dallo European Centre for Validation of Alternative Methods e finanziato nell’ambito del Quinto Programma Quadro di Ricerca dell’Unione Europea (1998-2002). Verrà in tal modo risparmiata la vita di oltre 200mila conigli, tanti sono quelli usati ogni anno nei laboratori europei al fine di effettuare test pirogeni su farmaci parenterali, cioè non orali, iniettabili o somministrati per via transdermica. Scopo di questi controlli è quello di identificare nella molecola in questione, la presenza di agenti scatenanti reazioni febbrili, residui di una proliferazione batterica: i pirogeni appunto (dal greco pyros: fuoco), detti anche endotossine. Per oltre 50 anni, l’unico controllo ammesso nelle varie farmacopee è stata la sperimentazione sui conigli, in quanto creature particolarmente sensibili alle endotossine. I ricercatori annotavano la temperatura basale degli animali, iniettavano la sostanza nella vena esterna del loro orecchio, registrando poi ogni incremento della temperatura. L’unica alternativa in vitro era rappresentata dai test Lal (Limulus amoebocyte lysate): in questo caso un campione di soluzione iniettabile veniva fatto reagire con una sostanza estratta dal sangue del limulo, una specie di granchio. Un test che sfortunatamente riesce a scovare una sola classe di pirogeni e che non funziona né con i virus né con i funghi. Per di più, basandosi sul sistema immunitario di un artropode, l’esame non garantisce risultati rilevanti per l’essere umano.“La comprensione dell’immunologia umana”, afferma Busquin, “ha compiuto negli ultimi 20 anni passi da gigante. Gli studi sui meccanismi d’insorgenza della febbre e lo sviluppo delle nuove tecniche di coltura cellulare, nell’ambito più generale della rivoluzione biotecnologica, hanno permesso alle cellule del sangue umano di funzionare da biosensori nei confronti dei pirogeni”. In base ai nuovi test, in pratica, alcuni tipi di globuli bianchi umani, nello specifico i monociti, vengono incubati nel campione della sostanza da testare, e non appena contaminati dagli eventuali pirogeni presenti, cominciano a rilasciare molecole mediatrici della febbre, facilmente identificabili. Rigorose linee guida in materia di donazioni di sangue e un metodo di crio-conservazione messo a punto dagli stessi ricercatori dell’Ue garantiscono da eventuali rischi di infezione.Ma non si tratta solamente di una vittoria animalista. I leucociti umani sono infatti più sensibili dei conigli alla contaminazione dei pirogeni. Il che si traduce in risultati più affidabili e in una maggiore garanzia per i pazienti. Le procedure di validazione inoltre (quelle cioè che stabiliscono l’affidabilità e la rilevanza del metodo) richiedono minor tempo e minori investimenti. “La consapevolezza della sofferenza degli animali nei laboratori”, va avanti Busquin, “è solo una delle ragioni che hanno guidato lo sviluppo di questo metodo alternativo. Gli studi che hanno portato a validare finora sei di questi nuovi test in dieci laboratori contemporaneamente, sono stati condotti in soli tre anni contro i cinque-sei richiesti dalle sperimentazioni animali”. Inoltre, mentre i classici test di validazione costano in media tre miliardi di euro l’anno, in questo caso sono occorsi appena 300mila euro. “Vale a dire una spesa dieci volte inferiore. Senza considerare, poi, le opportunità di mercato che le nuove tecnologie rendono disponibili”. Ragioni più che sufficienti a suscitare reazioni positive da parte delle compagnie farmaceutiche. “Sono già 200 i laboratori sparsi nel mondo”, continua il commissario europeo, “che utilizzano i nuovi test, nonostante non siano stati ancora formalmente inclusi nella Farmacopea dell’Unione europea”.Non tutte le cavie da laboratorio hanno avuto la fortuna dei conigli. È di poche settimane fa la notizia di 120 macachi provenienti dall’isola di Mauritius atterrati all’aeroporto della Malpensa e diretti al laboratorio Pharmacia di Nerviano (Milano) per essere sottoposti ai test di tossicità di nuovi prodotti antitumorali. Nonostante si tratti di scimmie protette in quanto specie a rischio, la Cites ne ha consentito il “traffico” in via del tutto eccezionale, solo perché destinati alla ricerca medica. La speranza è che anche loro, in futuro, possano essere sostituiti da provette, modelli computerizzati o altre tecniche di simulazione del corpo umano. “La legislazione europea infatti”, conclude Busquin, “stabilisce che nessun esperimento su animali deve essere condotto laddove sono disponibili alternative sicure all’ottenimento del risultato perseguito. La direttiva 86/609/CEE in particolare impone di sostituire o ridurre il più possibile il numero degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici, perseguendo le cosiddette “tre R”: refinement (raffinamento), reduction (riduzione), replacement (rimpiazzamento). Il Sesto Programma Quadro di Ricerca dell’UE (2003-2006) prevede, tra le priorità, proprio lo sviluppo di nuovi test in vitro che sostituiscano quelli in vivo”.

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