Aree protette, animali no

Il mondo ha bisogno di avere più aree protette? Certo, ma devono soprattutto essere distribuite diversamente rispetto ad adesso. È quanto sostiene uno studio pubblicato su Nature e firmato da studiosi ed ecologi di diversi paesi del mondo (per l’Italia appare la firma di Luigi Boitani, dell’Università “La Sapienza” di Roma). Se si dà un’occhiata a una mappa che mostri l’estensione delle aree protette sul pianeta, tutto sommato c’è di che essere soddisfatti. Parchi nazionali, oasi protette e riserve rappresentano l’11,5 per cento della superficie della Terra, come è stato annunciato lo scorso settembre al quinto congresso mondiale sui parchi svoltosi a Durban, in Sudafrica. Addirittura più di quel dieci per cento che era stato indicato come obiettivo una decina di anni fa al precedente Congresso di Caracas. Per una volta, insomma, gli obiettivi politici di difesa dell’ambiente sono non solo rispettati ma superati, ben diversamente da quanto accade con il protocollo di Kyoto. Ma questo si traduce realmente in una protezione efficace delle specie a rischio? Secondo gli esperti che hanno scritto su Nature, la risposta è no. Gli studiosi hanno confrontato la mappa delle aree protette con le mappe delle distribuzioni delle specie a rischio preparate da diverse organizzazioni internazionali: in tutto sono state prese in considerazione oltre 11mila specie di vertebrati terrestri. Di queste, più di 1.400 specie sono risultate “scoperte”, nel senso che nessuna area protetta copre il loro ecosistema. Ma il numero delle specie protette è probabilmente sovrastimato, scrivono gli autori dell’articolo, “perché la semplice presenza all’interno di una area protetta non è sufficiente ad assicurare la persistenza della specie, in particolare per quelle che hanno bisogno di habitat particolari”. In totale, la classe meno protetta tra quelle dei vertebrati sono gli anfibi: oltre il 26 per cento delle specie a rischio di estinzione non possono trovare rifugio in nessuna area protetta. Ma se la passano male anche gli uccelli, per i quali la percentuale di specie orfane di parchi sfiora il 20 per cento. È probabile però, scrivono gli autori, che le specie vegetali o quelle di insetti siano ancora meno rappresentate nelle aree protette. Visto che a livello internazionale la protezione della biodiversità è stata indicata da tempo come obiettivo prioritario della creazione di una rete di aree protette nel mondo, questi numeri sono un problema. Indicano infatti che quell’11 per cento di parchi sulla superficie del Pianeta non sono disposti in modo da raggiungere il loro scopo. “I risultati dimostrano chiaramente che la percentuale di territorio protetto in un dato paese non è un buon indicatore della necessità o meno di procedere a ulteriori interventi”, scrivono gli autori. Piuttosto che puntare a una certa percentuale di aree protette in ogni paese, queste si dovrebbero concentrare nelle regioni caratterizzate da maggiore endemismo, cioè presenza di specie che rimangono confinate in particolari zone a causa di barriere geografiche naturali. Sono queste zone a contribuire maggiormente alla biodiversità mondiale: la Melanesia, il Madagascar, la regione tropicale delle Ande, i Caraibi, la foresta lungo la costa Atlantica del Sudamerica, la parte meridionale della Cina.Gli autori dello studio hanno provato, a partire dalla stessa estensione complessiva, a simulare diverse distribuzioni delle aree protette sul pianeta. Alcune casuali, altre con una maggiore concentrazione di parchi nelle zone tropicali. E hanno concluso che la rete di aree protette servirebbe meglio l’obbiettivo di tutelare la biodiversità se si concentrasse in queste ultime.

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