Società

Top secret, l’esplosione della John Harvey carica di iprite nel porto di Bari

Era il 22 aprile 1915 – esattamente 100 anni fa – quando durante la Prima Guerra Mondiale, sui campi di battaglia di Ypres, in Belgio, fece l’apparizione per la prima volta una nuova terrificante arma: i gas chimici. I tedeschi infatti avevano lanciato un attacco contro le truppe Alleate irrorando l’aria con “tioetere di cloroetano”, un gas venefico che proprio dalla città di Ypres avrebbe poi preso il nome: iprite, in italiano.

Cos’è l’iprite

L’iprite è un gas vescicante che agendo dapprima come irritante e poi come veleno per le cellule, causa danni gravissimi all’apparato respiratorio ed ematopoietico sino alla morte, oltre a causare gravi danni agli occhi. Proprio a causa dei terribili effetti fisici e psicologici che i gas causavano alle vittime – che così tanto avevano impressionato l’opinione pubblica – fu firmata nel 1925 la Convenzione di Ginevra che impediva l’uso in battaglia dei gas; tuttavia con l’apposizione di “riserve” gli Stati contraenti si riservavano il diritto di rappresaglia: in sostanza la Convenzione vietava il “primo uso” in battaglia mentre, con l’apposizione delle riserve, gli Stati contraenti si riservavano l’uso del gas in risposta come legittima rappresaglia.

L’affondamento della John Harvey nel porto di Bari

Benché nel corso della Seconda Guerra Mondiale l’arma chimica non sia mai stata usata in combattimento, proprio in Italia ebbe luogo l’unico caso di vittime da armi chimiche sia pure per cause accidentali: il 2 dicembre 1943, infatti, a seguito del bombardamento tedesco del porto di Bari pieno di navi alleate, era esplosa una nave americana carica di armi chimiche, la John Harvey; con l’esplosione, la John Harvey aveva diffuso in aria e per mare il veleno dell’iprite causando centinaia di casi di avvelenamento da gas tra le truppe presenti nel porto.

Tra le vittime di Bari colpite dai gas chimici ci furono anche i marinai italiani del Barletta, nave italiana ancorata nel porto al momento dell’attacco aereo. Alcuni giorni dopo il bombardamento del 2 dicembre 1943 infatti, i medici del Comando sanitario italiano di Bari avevano osservato uno strano fenomeno medico: quasi tutto l’equipaggio del Barletta, scampato alle bombe tedesche, presentava ustioni di 1°, 2° e 3° grado diffuse su tutto il corpo, spesso accompagnate da complicazioni broncopolmonari. Eppure nessuno dei ricoverati era stato investito dal fuoco, benché quella notte sul porto si fosse scatenato un autentico inferno.

Anche nel vicino 98° Ospedale Generale britannico (situato dove oggi ha sede il Policlinico di Bari) i medici avevano constatato strani fenomeni: nella notte tra il 2 e il 3 dicembre molti naufraghi avevano cominciato ad accusare intenso calore sul corpo, tanto da arrivare a strapparsi di dosso i bendaggi nei quali erano stati avvolti. Altri invece presentavano bolle e vesciche grandi quanto palloni, piene di liquidi.

Sospetti e segreti sul carico della John Harvey

I medici dello staff sanitario Alleato intuirono che quei sintomi potessero essere conseguenza dell’esposizione ad agenti chimici. Tuttavia per porvi rimedio bisognava sapere esattamente di quali sostanze si trattasse; il segreto imposto dalla autorità militari alleate rendeva però difficile il compito. Fu solo l’11 dicembre successivo, grazie alle indagini svolte dal tenente medico americano Stewart F. Alexander, inviato a Bari da Eisenhower, che fu possibile accertarsi che si trattava di iprite proveniente dalle bombe a bordo dalla John Harvey.

Per vie autonome, anche i medici italiani riuscirono poi a individuare l’iprite come causa delle complicazioni polmonari che nei giorni successivi avevano portato alla morte di 21 dei 67 membri dell’equipaggio del Barletta.

Nel rapporto medico finale stilato dal tenente medico Alexander, nel giugno 1944, il calcolo, approssimato per difetto, fu di 617 casi contaminazione e 83 morti. Non è possibile invece avere dati su eventuali vittime civili, anche se si deve ritenere che la nuvola di gas abbia manifestato i suoi effetti principalmente nell’area del bacino portuale non investendo così la città.

Dal punto di vista storico è interessante notare come per molti anni si sia ritenuto che, morto l’intero equipaggio della Harvey a seguito dell’esplosione della nave, nessuno fosse più a conoscenza del carico di gas. In realtà non è così. Il Bari Report – la relazione finale della commissione d’inchiesta voluta da Eisenhower – dimostra come il comando militare del porto fosse perfettamente a conoscenza del carico di iprite della Harvey, che il Quartier Generale Alleato di Eisenhower ad Algeri fosse stato informato e che l’apposizione del segreto militare fosse stata decisa da una riunione dell’HQ 2 (Quartier Generale) di Bari tenutasi alle 14.25 del 3 dicembre; è a partire da quel momento che fu così bloccata la circolazione delle informazioni agli ospedali militari.

Dagli effetti dell’iprite alla chemioterapia

Sia le vittime italiane che quelle alleate di Bari furono dunque sacrificate sull’altare della Ragion di Stato: in nessun modo si doveva permettere che i tedeschi potessero venire a conoscenza del carico di iprite. E si deve forse anche a questa circostanza che le bombe all’iprite della Harvey avrebbero continuato a far vittime nei decenni successivi.

Dal punto di vista medico, il disastro di Bari presentava delle peculiarità: era la prima volta che si osservavano casi di avvelenamento da iprite per assorbimento cutaneo a contatto con liquidi: la tremenda esplosione della Harvey infatti, aveva riversato in mare il gas liquido contenuto nelle bombole; e poiché il mare era ricoperto dal petrolio fuoriuscito da una condotta petrolifera, i naufraghi avevano nuotato in un miscuglio velenoso composto da petrolio e iprite. L’inedita modalità di assorbimento dell’iprite, in ambiente liquido, era stata dunque la causa di così tanti dubbi e perplessità da parte dei medici alleati.

I casi clinici dei pazienti e delle vittime di Bari furono oggetto di lunghe e approfondite indagini da parte delle divisioni di ricerche mediche degli arsenali di Porton Down in Gran Bretagna e di Edgewood in USA, entrambi specializzati nello studio e produzione di aggressivi chimici. Sulla base di queste ricerche, i medici americani Gilman e Goodman avrebbero poi proseguito gli studi per verificare gli effetti degli azotati di iprite sul corpo umano a scopo terapeutico contro alcune forme di tumori: nasceva così la chemioterapia.

Il libro e l’autore

Francesco Morra è autore del soggetto, delle ricerche storiche originali e co-sceneggiatore del documentario “2 dicembre 1943: Inferno su Bari” (regia Fabio Toncelli) prodotto dalla SD Cinematografica di Roma per “La Grande Storia” di Rai 3.

E’ autore del libro Top Secret Bari 2 dicembre 1943 – La vera storia della Pearl Harbor del Mediterraneo (Castelvecchi Editore), approfondimento storiografico delle ricerche svolte per il documentario.

Credits immagine di copertina: Helmut Alexander Oelkers/Flickr CC

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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  • Perchè non citate l'uso dei gas sul S.Michele, che costò la vita ai Fanti dei Lupi di Toscana 77-78 Rgt.F., et dulcis in fundo lo sfondamento di Caporetto, ove furono usati prima i vescicanti, così che gli artiglieri e Fanti furono costretti a togliere le maschere, immediatamente dopo gli asfissianti, con perdite nostre enormi....... Poveri nonni per la Patria e per il re!

  • Ho letto l'articolo di Claudia De Luca sui cani e mi è piaciuto molto. Ha approfondito il problema e l'ha reso gradevole alla lettura
    Mi auguro che ne faccia altri su argomenti di cinofilia,argomento del quale molti giornalisti scrivono,senza sapere quello che dicono,come sui cani molecolari.

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