Australopithecus sediba, tutto sul nostro antenato

Ne avevamo parlato come del fossile che poteva cambiare la storia evolutiva umana, date le eccezionali scoperte del settembre 2011. E ora, un anno e mezzo più tardi, questa suggestiva ipotesi sembra rafforzarsi: lo suggeriscono ben sei lavori pubblicati su Science di questa settimana, che esaminano i resti fossili dell’Australopithecus sediba scoperti nel sito di Malapa nell’agosto 2008. Si tratta di un progetto di ricerca grande e ambizioso, portato avanti dallo Evolutionary Studies Institute della University of Witwatersrand assieme ad altre quindici istituzioni internazionali. L’analisi degli scienziati dei resti fossili, estremamente completi e in ottimo stato di conservazione, ha permesso di fare luce su alcune delle più importanti caratteristiche dell’ominide e di inferire importanti informazioni sulla storia evolutiva dell’Homo sapiens

“È uno sguardo senza precedenti sull’anatomia e la discendenza di un antenato degli esseri umani”, commenta orgoglioso Lee Berger, direttore del progetto di ricerca. I resti fossili, che risalgono a circa due milioni di anni fa, consistono in due scheletri, indicati con le sigle MH1 e MH2, e una tibia adulta indicata con la sigla MH4: studiandoli in dettaglio, gli scienziati hanno descritto come si muoveva, masticava e camminava il nostro antenato. E ne ha messo in luce la complessa anatomia a mosaico, composta cioè da strutture funzionali condivise in parte con le scimmie e in parte con l’essere umano moderno. “L’esame degli elementi a nostra disposizione”, riassume Berger, “ci ha dato una visione d’insieme di questa specie ominide che è un vero e proprio mosaico dei generi Homo e degli altri australopitechi. Visione che cambierà il nostro modo di guardare alla storia evolutiva umana. Ma per arrivare a questo punto bisognerà continuare a lavorare, anche cercando nuovi resti fossili in un’area che si sta rivelando ricchissima di reperti paleontologici”. Ecco i punti salienti del lavoro. 

Denti e mandibola
Lo studio della morfologia dentale del sediba mostra che la specie ha dei punti di contatto con l’Australopithecus africanus, con cui forma un sottogruppo di ominidi. Che, a sua volta, condivide un certo numero di caratteristiche con quattro campioni fossili del genere Homo. In ogni caso, rimarcano gli scienziati, africanus e sediba rimangono specie distinte, nonostante le similitudini:  “La mandibola del sediba è comunque diversa da quella dell’africanus, sebbene siano generi che vivevno abbastanza vicini”, spiega Darryl de Ruiter della Texas A&M University. “Tutti i resti che abbiamo esaminato evidenziano la transizione da australopiteco a uomo. L’evidenza dell’evoluzione, insomma”.

Arti superiori
Secondo gli scienziati, gli arti superiori del sediba hanno una morfologia piuttosto primitiva. La specie condivide con gli altri australopitechi un braccio particolarmente adatto per l’arrampicata sugli alberi o altre forme di sospensione (più o meno quello che si era scoperto su Lucy, che appartiene alla specie degli Australopithecus afarensis). “Tuttavia”, spiega Steven Churchill della Duke University, “è possibile che queste caratteristiche siano tratti non funzionalmente importanti, ereditati da qualche progenitore arboricolo ma non effettivamente utilizzati. Se fosse così, bisognerebbe comprendere perché queste peculiarità siano rimaste immutate per milioni di anni e poi sono scomparse improvvisamente con l’avvento di Homo”. 

Torace e colonna vertebrale
Gli scheletri di sediba mostrano che l’australopiteco aveva un torace stretto, simile a quello delle grandi scimmie ma diverso rispetto all’uomo (ecco l’anatomia a mosaico): “Il quadro morfologico che emerge”, spiega Peter Schmid della University of Witwatersrand, “è quello di un torace conico con una spalla alta che fa del sediba un esemplare simile a una scimmia che si stringe nelle spalle. Una configurazione unica per gli australopitechi e impensabile negli esseri umani, perché avrebbe impedito l’oscillazione delle braccia durante la camminata e la corsa”. Per quanto riguarda la colonna vertebrale, invece, gli scienziati hanno evidenziato una curvatura nella zona lombare che ricorda vagamente quella umana: stesso numero di vertebre, ma una schiena più lunga e flessibile. 

Arti inferiori e camminata
I fossili degli arti inferiori del sediba sono particolarmente abbondanti: “Un tallone, una caviglia, un ginocchio, l’anca e la parte bassa della schiena”, racconta Jeremy DeSilva della Boston University. “Molto più di Lucy, di cui sono rimaste solo caviglia e anca”. Le caratteristiche di queste ossa, secondo gli scienziati, sono compatibilicon un bipede che cammina con andatura quasi prona: “Il sediba camminava su due piedi. È un ulteriore caratteristica che lo avvicina all’essere umano”, conclude DeSilva.

Via: Wired.it

Credits immagine: Lee R. Berger. Image courtesy of Lee R. Berger and the University of the Witwatersrand

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