Battaglie di libertà

Sergio Lariccia
Battaglie di libertà
Carocci 2011, pp. 284, 21 euro

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Come si vive in Italia oggi e qual è la salute della democrazia e dei diritti fondamentali? La risposta non va cercata soltanto nel presente, ma ricostruita in una visione temporale più ampia. Sono passati più di sessant’anni dalla costituzione repubblicana: in questi anni spinte contrastanti, cambiamenti e conflitti mai risolti hanno caratterizzato la vita istituzionale e il sistema giuridico italiani e, di conseguenza, le garanzie dei diritti costituzionali. Sergio Lariccia ricostruisce il percorso accidentato della vita democratica italiana, con particolare attenzione alla storia costituzionale. Individuo, sistemi scolastici, laicità sono alcuni dei tasselli cruciali di questo affresco non ancora compiuto e a volte somigliante alla tela di Penelope.

La questione dei rapporti tra Stato e chiesa è ancora drammaticamente attuale e si presenta sotto forma di molteplici questioni. Come definire l’identità religiosa e come farla convivere con il pluralismo giuridico? “Anche nel nostro paese, come è avvenuto altrove, il problema dell’identità si è presentato soltanto dopo che si sono realizzate le condizioni per l’attuazione di un pluralismo ideologico: esso è dunque un problema caratteristico delle società democratiche” (p. 58). Certo poi il panorama cambia a seconda delle decisioni e della coerenza della società democratica. Per capire il nostro panorama ripercorriamo la storia dei diritti a partire dalla Costituzione del 1948. È una storia complessa e burrascosa e che riguarda ciascuno di noi. “L’Italia di oggi è il frutto delle scelte politiche compiute prima del 1950: è per questa ragione che, per una esatta valutazione di molti problemi tuttora dibattuti in tema di diritti, doveri e libertà dei cittadini italiani, occorre risalire al periodo del secondo dopoguerra, poiché è in quegli anni che si pongono le premesse dei problemi che oggi riguardano la vita della nostra società”.

E subito dopo Lariccia sottolinea un nodo fondamentale: “l’entrata in vigore del nuovo ordinamento dopo la caduta del fascismo non ha costituito l’elemento risolutore per segnare una decisa svolta nella politica italiana e attuare un sistema di riforme coerente con la volontà innovatrice implicita nel mutamento istituzionale verificatosi in Italia: la conseguenza è che, dopo più di sessant’anni dall’entrata in vigore dell’ordinamento repubblicano, rimangono tuttora efficaci molte leggi fondamentali conformi ai principi ispiratori del sistema fascista e non sono prevedibili in un prossimo futuro una riforma della legislazione italiana e l’attuazione di una politica in tema di diritti civili che tengano conto dei principi di libertà e di democrazia contenuti nella carta costituzionale del 1948” (p. 76). Alla luce di questo, l’arretratezza dell’Italia rispetto a molti paesi europei, per esempio, trova una ipotesi esplicativa nel non avere fatto i conti con il passato.

Diritto di famiglia, laicità dello Stato e rapporti con le religioni, regolamentazione delle tecnologie: tutti questi argomenti disegnano un terreno in cui l’Italia sembra essere impantanata. A volte addirittura sembra procedere in retromarcia e in contrasto con altri paesi democratici. È sempre più evidente che i mai risolti rapporti tra Stato e chiesa cattolica pesino enormemente in questa immobilità e che la classe politica abbia una pesante responsabilità. Fin dai primi anni dell’Italia democratica, quando le minoranze religiose venivano perseguitate, le libertà individuali erano fortemente limitate e la chiesa cattolica godeva di privilegi ingiustificabili. In quegli anni la classe politica non seppe e non volle prevedere un sistema normativo a garanzia delle libertà riconosciute dalla nuova Costituzione. Non seppe riformare la legislazione ecclesiastica e “non seppe considerare che, al di là di ogni comoda ma provvisoria soluzione di compromesso, una sostanziale e profonda revisione del sistema dei rapporti tra stato e chiesa cattolica si imponeva come conseguenza del principio di neutralità e di aconfessionalità dello stato” (p. 103). Tutte questioni con cui ancora oggi ci troviamo a combattere: dalla presenza del crocifisso nelle aule scolastiche e nei luoghi istituzionali, ai privilegi economici di cui gode il Vaticano (l’Ici, prima di tutto, ma moltissime altre agevolazioni che non hanno alcuna giustificazione razionale, ma sono il sintomo di un servilismo spaventoso); dalle leggi promulgate guardando alla “sensibilità cattolica”, ai soldi concessi alle scuole cattoliche mentre l’istruzione pubblica barcolla sotto il peso di infiniti tagli.

Il divorzio e l’interruzione volontaria di gravidanza sono senza dubbio tra gli avvenimenti più rilevanti degli anni Settanta. Quelle due leggi furono al contempo una conseguenza e un motore di profondi cambiamento sociali e culturali. Lariccia si sofferma sulla faticosa gestazione della legge 898 dell’1 dicembre 1970, “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”, e della 194 del 22 maggio 1978, “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, offrendoci preziosi strumenti per comprendere lo scenario italiana attuale. L’aspetto preoccupante è che, sul fronte dei diritti civili, sembrano essere le ultime due leggi  ad avere introdotto una rilevante innovazione nel sistema giuridico, garantendo la possibilità di compiere una scelta. Basti pensare alla legge 40 sulle tecniche riproduttive o al disegno di legge (ad oggi) sulle direttive anticipate per avere un esempio contrario: leggi che non aumentano la libertà e le garanzie dei cittadini, ma cercano di ingabbiarli in un sistema primitivo e paternalistico.

Il cammino di Lariccia prosegue nei decenni successivi e il libro si chiude con una interessante prospettiva europea. Tra innumerevoli difficoltà e intoppi, la cornice europea offre una importante sfida, quella della supremazia del diritto in una cornice che supero i confini dei singoli Stati.

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