Benvenuta età terza

“Ancora non esiste nella nostra cultura un ordine di metafore che rappresenti ‘l’età terza’. Noi abbiamo una rappresentazione della terza età: capelli bianchi, ossa rovinate, tanta saggezza nel migliore dei casi, tanta solitudine e depressione nei casi peggiori e nella normalità. Ma non abbiamo nessuna rappresentazione collettiva dei trent’anni che, per la prima volta nella storia umana, si aprono dopo i 50. Dai 50 agli 80 anni c’è una vita da ridisegnare. Io chiamo età terza questo buco rappresentativo e immaginativo. C’è però un versante in ombra: lo spavento senza fine di dover vivere trent’anni da vecchi. Le americane, che lavorano su questi temi da molto più tempo di noi, oscillano tra due posizioni estreme: da un lato, dicono, ognuno ha l’età che si sente per cui, anche se il corpo cade a pezzi, l’importante è quanto ci si sente giovani nell’animo. D’altro lato, se la scienza e la tecnica hanno allungato la vita, altrettanto possono migliorarne le forme. Quindi, adeguiamo il nostro corpo all’età mentale, cancellando i segni del tempo. La mia posizione è un’altra: disegnare i segni del tempo, secondo il tempo soggettivo e il tempo esterno, che sono tempi diversi, ma che nel punto in cui si incontrano lasciano un segno. Quel segno diventa una nuova mappa dell’età, che è l’età terza e non la terza età. Nel concreto, ben vengano anche i lifting, purché lascino intatte le mappe dell’età disegnate sul volto.

Noi donne abbiamo lavorato per accettarci di più, direi soprattutto per distinguere ciò che sentivamo di essere da ciò che l’altro, con il suo sguardo, ci diceva che eravamo. A partire da qui, che poi è il partire da sé, si può costruire attivamente la propria età e il proprio pensiero di sé. E’ qualcosa che non attiene all’ordine della spontaneità ma all’ordine della costruzione culturale, includendo in questa il peso enorme che ha l’inconscio. Perché il processo di autenticità non è un punto di partenza ma un punto di arrivo. Il sé autentico si costruisce alacremente, con il lavoro di una vita. Del resto i vecchissimi già lo sapevano, solo che associavano questa possibilità al fatto di liberarsi dalle pulsioni e dalle passioni dei sensi che li distraevano dalle imprese della mente. Noi invece facciamo la scommessa di portarci tutto appresso. E’ una bella scommessa.”

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Noidonne, dicembre 1998

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