Biblioteca scientifica? Gratis e online

Una biblioteca infinita, un archivio di tutta la letteratura biomedica gratuito e accessibile a tutti attraverso Internet. È quanto si propongono di ottenere i ricercatori che hanno firmato a favore della costituzione di una biblioteca pubblica della scienza. Una sorta di movimento ‘open source’ che ha coinvolto fino a oggi oltre 22 mila ricercatori di 158 paesi. Per loro l’archivio in questione dovrebbe contenere gratuitamente tutti gli articoli scientifici, inseriti sei mesi dopo la pubblicazione. In cambio dei loro costi editoriali e della cura nelle revisioni, gli editori non otterrebbero più quindi la proprietà permanente degli articoli, ma un semplice ‘prestito’ di sei mesi. Dopo, tutto tornerebbe di pubblico dominio. Un sogno che permetterebbe di coniugare informazione scientifica e pubblico accesso ovunque e per sempre. Che i ricercatori sono determinati a realizzare. Tanto che se l’archivio non sarà implementato in modo significativo entro settembre 2001, hanno già minacciato di non inviare più articoli alle riviste.

Com’è immaginabile, le questioni pratiche da affrontare sono innumerevoli. Politiche:siamo sicuri che un archivio statale sia migliore delle case editrici private? Tecniche: come realizzare il server centrale della letteratura scientifica? Chi ne controllerà la qualità? Pragmatiche: perché non ci si mobilita per prima cosa contro i risultati coperti da segreto, per esempio quelli farmaceutici e militari? Economiche: chi pagherà questa futura biblioteca universale? Non sarà che al posto di molti “padroni” ne avremo uno solo? E che fine faranno le autorevoli riviste tradizionali? Domande che solo con l’implementazione di archivi gratuiti si potranno risolvere. Un timido esempio è PubMed Central, un data base di articoli pubblicati sulle riviste che hanno accettato di fare parte del progetto e che quindi rinunciano al diritto di proprietà permanente. Un tentativo che stenta però a decollare.

Ma la Public Library of Science, ideata da Michael Eisen e Pat Brown, è in realtà qualcosa di più. Una discussione sul rapporto tra scienziati e editori scientifici. Una riflessione sul ruolo del profitto nell’editoria e sull’accesso all’informazione. Quello delle pubblicazioni scientifiche è infatti un vero business. Circa 100 mila riviste si spartiscono in tutto il mondo l’informazione scientifica specializzata, ma solo 2 mila di queste raccolgono il 95 per cento delle citazioni degli articoli scientifici. Una piramide di potere e autorità che si basa sulla fiducia dei ricercatori nel sistema di controllo privato delle pubblicazioni. Come molti sanno, lo strumento principale di valutazione della qualità di un articolo è l’impact factor (IF). Pochi sanno invece che questo valore è determinato da un istituto privato statunitense, proprietà della Thomson: l’Institute for Scientific Information che recensisce ogni anno 12 milioni di articoli apparsi sulle 9 mila pubblicazioni principali, controllando quante volte e da quali riviste un articolo viene citato. Il risultato è il “fattore d’impatto” numerico di ogni rivista, il suo peso nel panorama scientifico e quindi il suo valore. Un parametro quindi imprescindibile per tutti: biblioteche, ricercatori, università, laboratori, mass media.

I primi a ribellarsi a questo sistema sono stati i fisici del laboratorio di Los Alamos, negli Stati Uniti realizzando un sito Internet accessibile a tutti. Con centomila contatti al giorno, il loro archivio è una banca dati libera di articoli non controllati, in genere bozze in attesa di pubblicazione sulle riviste. E non sono pochi i casi di articoli inviati a Los Alamos che hanno portato gli autori sulla ribalta del mondo della ricerca o a collaborazioni importanti. Sulla spinta innovativa che Internet fornisce alla pubblicistica scientifica si è scatenato un forum di discussione ospitato niente meno che dal sito della prestigiosa rivista (cartacea) Nature dove ricercatori, sociologi e storici si sfidano a distanza. Insomma, a prescindere dal successo dell’iniziativa della Public Library of Science, dobbiamo cominciare a immaginare il futuro della comunicazione scientifica. Modi alternativi che sfruttino tutte le possibilità della Rete e che garantiscano uno sviluppo della ricerca più equo e accessibile a tutti.

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