Big One, la grande paura

L’Italia centrale trema. Uno stillicidio di scosse iniziate la settimana scorsa nella notte tra giovedì e venerdì, proseguite venerdì mattina fino all’ultima di venerdì 3 ottobre. Sussulti violenti che hanno messo in ginocchio l’Umbria: minato le case, provocato 12 morti e fatto crollare una parte della basilica di Assisi con i preziosi affreschi di Giotto e Cimabue. E l’incubo del Big One, come i californiani chiamano il grande sisma che un giorno o l’altro potrebbe inghiottire metà del loro stato, comincia ad aleggiare anche dalle nostre parti. Sta accadendo qualcosa di nuovo sotto i nostri piedi? Sta per arrivare anche da noi il terremoto finale che cancellerà il Colosseo, o la torre di Pisa, o la Torre degli Asinelli? In effetti anche l’Italia, come l’Alaska, il Giappone, la California e le isole del Pacifico, fa parte di quella “cintura del fuoco” che con i suoi vulcani e i suoi terremoti ci ricorda che, sotto, la Terra è un pianeta in movimento, che si agita, si muove e sussulta.

“Non si può parlare di un Big One all’italiana. Almeno non come lo intendono in California”, tiene subito a precisare Enzo Boschi, direttore dell’Istituto nazionale di geofisica. “Ogni regione sismica ha una sua storia, con caratteristiche particolari, che la distinguono dalle altre. E l’Italia è molto diversa dalla California”. Una differenza che mette al riparo lo stivale dalle scosse apocalittiche che colpiscono altrove. “Un terremoto è come una molla carica che si spezza all’improvviso e libera tutta l’energia che aveva immagazzinato”, prosegue Boschi, “ma le molle non sono tutte uguali, alcune si possono caricare più di altre”. In California tutta l’attività sismica si concentra attorno a un fascio di faglie, tra cui la famosa faglia di Sant’Andrea. E’ una regione che i geologi conoscono bene, dove si concentrano enormi quantità di energia che si liberano di colpo con effetti catastrofici. In Italia, invece, la situazione è diversa. Il nostro paese si trova proprio nella regione dove la zolla continentale africana spinge su quella euroasiatica. Ma la sua attività sismica è definita dagli esperti “medio-alta e diffusa”. Insomma, non un’unica devastante scossa, ma una serie di scosse più frequenti, più deboli ma con qualche impennata. “L’Appennino è grosso modo diviso in due aree”, dice ancora Boschi, “a nord, fino all’Umbria compresa, i terremoti non hanno mai superato i 5,5 gradi della scala Richter, mentre a sud sono arrivati a 7. Poi c’è il Friuli dove le scosse più forti sono state attorno al sesto grado. Quando si parla di Big One in Italia ci si riferisce a uno di questi eventi, a terremoti che toccano la massima intensità possibile in una data regione”. Molto lontano, quindi, dalle scosse dell’ottavo o del nono grado registrate in Alaska o in Giappone.

Ma l’intensità di un terremoto è solo una delle facce della medaglia. L’altra sono i danni che la scossa può provocare. E qui, per l’Italia, la musica cambia in modo drammatico. “E’ molto più pericolosa una scossa debole vicino, per esempio, a una centrale nucleare che una fortissima in pieno deserto”, afferma Roberto De Marco, direttore del Servizio sismico nazionale. Ed ecco che con i suoi 20 mila centri storici, i suoi monumenti e beni artistici sparsi su tutto il territorio il Belpaese rivela tutta la sua fragilità. Da noi non serve un Big One per fare danni irreparabili. E non è tutto. “Il vero rischio”, insiste De Marco, ”è che a quasi 90 anni dal terremoto di Messina, che rase al suolo la città con un’ecatombe da quasi 86 mila morti e in seguito al quale furono introdotte le prime norme per la protezione antisismica, solo il 14% degli edifici è costruito secondo criteri di sicurezza. A Catania, spazzata via da una scossa nel 1683, la percentuale crolla addirittura al 6%”.

Ma come ci si può difendere dai terremoti? “Oggi nessuno può prevedere con precisione quando e dove colpirà un sisma”, taglia corto De Marco, “e probabilmente non ci riusciranno né i nostri figli e nemmeno i nostri nipoti”. Dunque non resta che la prevenzione. Il problema è che un terremoto si abbatte su ogni singolo edificio. Non bastano gli interventi dello stato, è necessario che ogni cittadino si senta coinvolto nella prevenzione e si assicuri che la propria casa sia costruita secondo criteri di sicurezza. Per questo il Servizio sismico nazionale e la Protezione civile stanno elaborando una mappa del rischio sismico che, oltre all’intensità massima che un sisma può raggiungere in una certa regione, tenga conto anche della densità della sua popolazione, del tipo di edifici, di industrie o di monumenti che ne subirebbero i danni. Solo così si potrà mettere in atto la prevenzione diffusa e capillare che è, e probabilmente resterà, la nostra unica difesa contro i terremoti.

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