Salute

Biobag, un utero artificiale per i neonati prematuri

(Credit: The Children’s Hospital of Philadelphia)

Al Children’s Hospital di Philadelphia l’hanno chiamato Biobag ed è un sacchetto di plastica che imita l’utero materno, completo di sostituti di liquido amniotico e placenta. Lo scopo dell’utero artificiale è presto detto: aiutare i neonati prematuri a completare lo sviluppo di alcuni organi vitali – come i polmoni – e aumentare le loro chance di sopravvivenza. Grazie a Biobag l’equipe di ricercatori che ha condotto la ricerca, pubblicata su Nature Communications, è riuscita a far sopravvivere e sviluppare per 28 giorni otto agnellini prematuri, aprendo alla possibilità di prossime applicazioni nei reparti di terapia intensiva neonatale.

L’utero artificiale Biobag sembra proprio una busta di plastica, simile a una sacca per le trasfusioni, ma in realtà è un dispositivo altamente tecnologico frutto di anni di ricerche, condotte per cercare di imitare il più possibile l’ambiente dell’utero materno. Biobag ha – per il momento – ospitato otto agnelli prematuri e ne ha consentito il proseguimento dello sviluppo di strutture necessarie alla sopravvivenza al di fuori del corpo della mamma. Per permettere la respirazione e il corretto sviluppo dei polmoni, il team di ricercatori ha utilizzato una soluzione elettrolitica che replica le funzioni del liquido amniotico, mentre, per fare le veci della placenta, un dispositivo collegato al cordone ombelicale, in grado di filtrare il sangue del cucciolo dalle scorie e dall’anidride carbonica per arricchirlo di nutrienti e ossigeno.

Nessuna pompa per la circolazione extracorporea dei fluidi: il cuore degli agnellini è stato sufficientemente forte da permettere il naturale flusso del sangue, evitando così di causare danni ai tessuti.

Rispetto ai parziali successi del passato (già nel 1996 alcuni ricercatori erano riusciti a far sopravvivere animali prematuri fuori dal corpo materno per un massimo di 60 ore ma avevano registrato danni ad alcuni tessuti), gli esperti di Philadelphia hanno messo a punto tecniche che hanno consentito di mantenere gli agnelli in vita fino a 28 giorni all’interno di Biobag, al termine dei quali gli animali sono stati fatti nascere e sottoposti a una serie di controlli per verificare il loro di salute, confrontato con quelli di animali di controllo portati allo stesso livello di sviluppo ma in una gravidanza convenzionale.

Gli animali utilizzati sono stati scelti per replicare nel modo più fedele possibile le condizioni di sviluppo dei polmoni di un neonato umano prematuro al limite della sopravvivenza, cioè a 22-23 settimane di gestazione (una gravidanza a termine è di 40 settimane).

Alan Flake, direttore del Centro per la ricerca fetale al Children’s Hospital di Philadelphia riferisce che il sistema sviluppato dalla sua equipe “mira a prevenire le complicazioni che normalmente capitano ai bambini estremamente prematuri, offrendo una tecnologia che prima non esisteva”.

“Questi bambini” continua Flake “hanno bisogno di un ponte fra l’utero della madre e il mondo esterno. Se riuscissimo ad aiutarli a far maturare i loro organi anche solo per alcune settimane, miglioreremmo la prognosi per molti di loro”.

Siamo comunque ben lontani dall’idea di una gravidanza interamente artificiale. “È fantascienza pensare di poter prendere un embrione, condurlo attraverso gli stadi di sviluppo precoci e metterlo nel nostro dispositivo”, sostiene Flake:“La madre è un elemento critico imprescindibile a oggi. Ci sono requisiti delle fasi precoci della gestazione che non siamo in grado di replicare, perché potremmo creare delle anomali. Non vogliamo creare sopravvissuti con una qualità della vita ridotta. Questo è ciò che stiamo cercando di prevenire.”

Ci vorranno ancora anni di ricerche prima che l’utero artificiale possa essere testato sull’uomo, ma Flake sembra ottimista e, forse, già tra 3-5 anni potremmo assistere alle prime sperimentazioni cliniche.

Via: Wired.it

Mara Magistroni

Nata e cresciuta nella “terra di mezzo” tra la grande Milano e il Parco del Ticino, si definisce un’entusiasta ex-biologa alla ricerca della sua vera natura. Dopo il master in comunicazione della scienza presso la Sissa di Trieste, ha collaborato con Fondazione Telethon. Dal 2016 lavora come freelance.

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