Brutte notizie per i giganti del mare

Già a partire dal primo giorno era chiaro come non ci fosse spazio per le illusioni. Ma poi le sessioni che si sono susseguite per tutta la settimana hanno contribuito a spazzare via ogni speranza residua riposta nel 53° Congresso della Commissione baleniera internazionale (Iwc), tenutosi a Londra dal 23 al 27 luglio scorsi. L’organismo, di cui fanno parte 38 paesi, che si occupa di regolamentare la caccia alle balene, è rimasto vittima della tattica ostruzionistica di Giappone e Norvegia e del cartello dei paesi che li supportano. Sono state infatti bocciate le più importanti risoluzioni all’ordine del giorno. Tra queste, la proposta di istituzione di due nuovi santuari per le balene, nel Sud del Pacifico e nell’Atlantico meridionale, che per la seconda volta non ha ottenuto la maggioranza qualificata dei due terzi necessaria per la sua approvazione. E l’accordo per l’adozione del piano di salvaguardia, il Revised Management Procedure – Rmp, che avrebbe conservato la moratoria sulla caccia alle balene e azzerato tutte le quote di cattura. Il Vertice di Londra si è concluso quindi con un nulla di fatto. I meccanismi interni di voto, le attività di lobbing dei paesi cacciatori e gli interessi economici in gioco hanno reso difficile il compromesso tra le diverse posizioni.

Basti un esempio. A Oslo cinque attivisti di Greenpeace si sono arrampicati per erigere uno striscione di protesta contro il primo Ministro norvegese, mentre dalle pagine del ‘Verdens Gang’, un popolare quotidiano del paese, si animava la polemica in funzione antiamericana. Un articolo che commentava il convegno di Londra dichiarava: “Rinunciamo pure a esportare carne e grasso di balena se gli americani sospenderanno la pena di morte’’. Da una parte l’America, vicina alle posizioni degli ambientalisti in tema di caccia ai grandi cetacei, dall’altra invece la Norvegia che vuole riprendere il commercio dei prodotti balenieri, soprattutto carne e grasso, e superare il blocco imposto nel 1986 dall’Iwc. E che già dal 1993 ha ripreso la caccia, consapevole dell’alta redditività del export verso il Giappone. Qui, infatti, i prodotti vengono acquistati a un prezzo quattro volte superiore a quello dei mercati locali. L’unico limite che il convegno ha imposto alle attività dei norvegesi è stata l’istituzione di uno schedario genetico per monitorare i cetacei e proteggere dalla caccia le specie più a rischio.

E proprio l’accordo su quali siano le specie a rischio è stato un’altra questione dibattuta a Londra. Alcuni paesi hanno messo addirittura in dubbio la loro esistenza. Tra questi la Norvegia che ritiene che – nei loro mari – le balene non siano una razza minacciata, ricordando che la popolazione di cetacei è stimata intorno ai 118 mila esemplari mentre lo scorso anno la quota autorizzata alla caccia è stata di 540 esemplari. Di diversa opinione Australia e Nuova Zelanda che avvertono che la popolazione mondiale di balene invece è ancora troppo bassa e che sarebbe necessario interrompere la caccia per parecchi anni prima di considerarle fuori pericolo. Se la Convenzione dell’Onu sulla Legge del Mare protegge le grandi balene, considerate una specie di interesse globale per la conservazione, e norme internazionali definiscono i limiti di cattura, la supervisione e il controllo delle operazioni di caccia, minore tutela invece è prevista per le balene più piccole e numerose, le Minke. Il Giappone, uno dei paesi più attivi nella caccia dei cetacei, sostiene che in alcune zone il loro esubero minaccerebbe addirittura la sopravvivenza di altre specie marine. E, con la stessa motivazione, l’Islanda vuole giustificare la riapertura della caccia nelle sue acque.

Secondo Cassandra Phillips, esperta di cetacei del Wwf Internazionale, i risultati del vertice hanno segnato “un punto a sfavore per la conservazione delle balene”. A cui si aggiunge un dato preoccupante: negli ultimi due anni è raddoppiato il numero dei paesi che sostengono la caccia. A chiusura del convegno l’esperta ha sottolineato la necessità di sviluppare un consenso tra i paesi anti-balenieri e di sottoporre il commercio a un controllo internazionale. “Bisogna evitare, spiega la Phillips, “che questa importante risorsa marina venga ignorata dall’altro organismo internazionale che si occupa del Commercio di Specie Protette (Cites), riproponendo uno scenario che ricorda gli ‘anni bui’ della caccia ai Giganti del Mare”. D’altra parte il prossimo vertice Iwc rappresenterà una dura sfida per il fronte dei paesi schierati in difesa dei cetacei. L’appuntamento del 2002 è infatti previsto in Giappone.

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