Categorie: Ambiente

Buona la quarta?

Aggiornamento del 14 giugno: Il cappuccio aspirante continua a funzionare e per i prossimi giorni la BP ha in programma un altro intervento per recuperare maggiori quantità di greggio e il gas dalla falla.

Quarto tentativo per la British Petroleum di mettere una toppa alla Deepwater Horizon e contenere quello che già oggi appare come il più grave disastro petrolifero di tutti i tempi. Veicoli a comando remoto (Rov) sono all’opera per preparare il campo al robot che tenterà di tagliare il tubo che perde e sostituirlo con un sistema di contenimento che dovrebbe permettere di convogliare il greggio e il gas su una nave. Lo riporta oggi il sito del colosso petrolifero, mentre è atteso il primo incontro tra i responsabili della commissione d’inchiesta e il presidente Barack Obama.

Il successo dell’operazione è incerto. Il sistema, infatti, non è mai stato sperimentato alla profondità di 1.500 metri. Inoltre, mette in conto un incremento del 20 per cento delle perdite di greggio e gas nelle fasi iniziali. Per i preparativi occorreranno ancora 3-4 giorni, quindi l’intervento vero e proprio non è attesa prima della fine della settimana in corso (qui i dettagli).

Il nuovo tentativo segue il fallimento, annunciato ufficialmente lo scorso 29 maggio, dell’operazione Top Kill (qui il video ) che prevedeva un’iniezione di fango nella conduttura per limitare la perdita di greggio. Prima di Top Kill si era tentato di fermare il flusso con teli contenutivi, poi con incendi controllati (29-30 aprile, qui video ), accompagnati dall’uso massiccio del solvente per petrolio Corexit (che però, come ha denunciato anche la rivista scientifica Nature lo scorso 21 maggio, non è certo innocuo e causa ulteriori gravi danni all’ambiente). Non ha avuto maggior fortuna la grande scatola di acciaio che, calata sulla falla il 7 maggio, avrebbero dovuto contenere temporaneamente lo sversamento né l’ultima trovata di un lungo tubo per incanalare la maggior parte del greggio in uscita (qui il video ). Dallo scorso 20 aprile, quindi, il petrolio continua a fuoriuscire al ritmo di circa 160 mila litri al giorno (per avere un idea di cosa significa, si può andare sul sito della BP e seguire le riprese in streaming della webcam ).

Intanto proseguono i lavori per raccogliere il petrolio che ha già raggiunto la superficie del mare e le coste del Golfo del Messico (sul sito della Nasa vi è una pagina dedicata alla Deepwater Horizon ed è possibile seguire l’andamento della marea nera grazie alle immagini catturate da due dei suoi satelliti). L’emergenza sta impegnando 1.600 imbarcazioni e ad oggi sono stati recuperati 321 mila barili di petrolio liquido (dei circa 340 mila barili fuoriusciti). Lungo le rive minacciate sono stati disposti migliaia di chilometri di cuscini assorbenti.

Finora la Bp ha speso circa 940 milioni di dollari nel tentativo di contenere il disastro. Una cifra destinata a salire rapidamente a causa del peggioramento delle condizioni meteorologiche e dell’arrivo della stagione degli uragani, che si apre ufficialmente oggi. Secondo le previsioni della National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa), verso la fine della settimana i venti potrebbero avvicinare la macchia di petrolio alle coste del Mississippi e dell’Alabama, finora meno colpite di quelle della Luisiana, dove la marea nera ha colpito oltre 110 chilometri di terreno (vedi Galileo). Come se non bastasse, dalla terza settimana di maggio un frammento della grande chiazza si sta dirigendo verso sud-est. Le immagini satellitari  diffuse dalla Noaa mostrano infatti chiazze di greggio continuamente risucchiate in un vortice sottomarino che si è staccato dalla Loop Current, la corrente circolare che spinge le acque del Golfo del Messico verso la Florida.

 

Tiziana Moriconi

Giornalista, a Galileo dal 2007. È laureata in Scienze Naturali (paleobiologia) e ha un master in Comunicazione della Scienza conseguito alla Scuola Superiore di Studi Avanzati di Trieste. Collabora con D la Repubblica online, Salute SenoLe Scienze, Science Magazine (Ed. Pearson), Wired.it.

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