Fisica e Matematica

Dai Campi Flegrei un modello per prevedere le eruzioni dei vulcani

Per i terremoti, ahinoi, è (ancora) impossibile. Ma per le eruzioni vulcaniche siamo qualche passo più avanti: la comunità scientifica è riuscita a elaborare, in capo a decenni di ricerche, errori e successi, diversi modelli che provano a formulare delle previsioni su dove e quando i sistemi vulcanici potrebbero entrare in azione. Ultimo, in ordine di tempo, uno studio multidisciplinare condotto da un’équipe guidata da Eleonora Rivalta, del Centro di ricerca sulle Geoscienze di Potsdam, in Germania: gli scienziati hanno messo a punto un modello che combina la fisica dei vulcani a modelli statistici per prevedere dove accadrà la prossima eruzione. Il banco di prova del modello è stata la caldera dei Campi Flegrei, nel golfo di Pozzuoli, le cui decine di bocche eruttive hanno “borbottato” diverse volte nel corso degli ultimi due millenni. Il lavoro è stato pubblicato su Science Advances.

Un modello che combina fisica e statistica per i Campi Flegrei

“I metodi precedenti”, spiega Rivalta, “erano sostanzialmente basati sulla statistica delle eruzioni del passato. Il nostro, invece, aggiunge la fisica alla statistica: abbiamo calcolato i cammini ‘preferiti’ dal magma che risale e poi abbiamo affinato le previsioni basandoci sulla statistica”. Non è stato facile: le dinamiche che regolano la risalita del magma e le modalità di fratturazione della roccia sono infatti molto complesse, e coinvolgono parecchie variabili. Ma a quanto pare l’approccio è quello giusto: gli scienziati sono tornati indietro nel tempo di cinque secoli e usato il loro modello per prevedere eventuali eruzioni nella caldera dei Campi Flegrei. Il modello ha indicato un luogo preciso, Monte Nuovo, come probabile apertura di una nuova bocca: ed effettivamente proprio in quella zona avvenne un’eruzione nel 1538. Previsione azzeccata, dunque.

Un modello che funzioni per tutti i vulcani

I risultati, secondo quanto osservato per i Campi Flegrei, sono incoraggianti, ma la strada da percorrere è ancora lunga: “La parte più difficile”, conclude Rivalta, “è la formulazione del modello nel modo più generale possibile, che possa funzionare per tutti i vulcani e non solo per una tipologia specifica. Abbiamo intenzione di condurre altri test per comprendere se il metodo fornisce previsioni accurate anche per altri vulcani: se dovesse essere così, avremmo certamente fatto un grande passo avanti verso una maggiore accuratezza delle previsioni”. Il che, naturalmente, è di importanza strategica fondamentale per la gestione del rischio e delle emergenze.

Credits immagine: Giuseppe Vilardo, INGV-OV GeoLab
Riferimenti: Science doi: 10.1126/sciadv.aau9784

Sandro Iannaccone

Giornalista a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. È laureato in fisica teorica e collabora con le testate La Repubblica, Wired, L’Espresso, D-La Repubblica.

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