Valcamonica, Camuni sotto sfratto

Ruspe, martelli pneumatici, asfalto, cemento, chiodi e scalpelli: con questo e altro si infierisce sulle antiche incisioni rupestri della Valcamonica, in Lombardia, misteriose e affascinanti testimonianze delle popolazioni camune che abitavano la zona prima della colonizzazione romana (VI secolo a.C.). Un sito archeologico che, nel 1979, fu il primo tra i tanti nel nostro paese a essere riconosciuto dall’Unesco come degno di tutela internazionale. L’ultimo episodio, di stampo vandalico, risale al novembre scorso quando, con deliberata volontà distruttiva, qualcuno si è accanito contro la già tartassata roccia n. 6 di Foppe di Nadro, unica nel suo genere per le tracce di influenze etrusche nelle sue raffigurazioni.

Questa volta, però, c’è stata una reazione: un gruppo di giovani archeologi dell’Associazione Culturale Morphosis, sostenuti da Anna Maria Basché, presidente della sezione locale di Italia Nostra, ha lanciato un appello alle autorità competenti affinché si faccia qualcosa per fermare il degrado. Ebbene: da dicembre a oggi l’appello è stato sottoscritto da poche decine di persone. «Del resto – commenta la Basché – se si arriva a tanto, dopo ripetuti altri sfregi, significa che è coinvolto tutto un sistema sociale, i suoi valori e la sua permissività, l’incapacità di educare e di far rispettare ciò che ha valori assoluti nel quadro storico-culturale».

Non meraviglia, dunque, il silenzio tombale delle autorità, locali e nazionali, del resto già indifferenti al severo richiamo del World Heritage Committee dell’Unesco che, lo scorso settembre, aveva invitato il governo italiano e gli altri enti responsabili, primo fra tutti il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, a onorare i doveri di tutela e valorizzazione finora completamente disattesi.

Fatalmente, è proprio uno dei maggiori pregi delle rocce camune – l’essere visibili nel loro contesto originario – a renderle particolarmente vulnerabili, esponendole, prima di tutto, all’azione erosiva della pioggia o di organismi come muschi, licheni e alghe, causa di esfoliazioni e distacchi della superficie, e dell’inquinamento dell’aria. Ormai da diversi anni, però, alla lenta e inesorabile azione distruttiva degli agenti atmosferici e biologici si è affiancata una ben più efficace azione umana. Invece di riconoscervi un riferimento della propria identità culturale, sembra che le popolazioni locali considerino le rocce camune più che altro un impedimento al legittimo impiego del territorio, pubblico o privato. E così, nell’indifferenza generale, le antiche pietre si distruggono, più o meno consapevolmente, per far largo a strade, gasdotti, tralicci, costruzioni di vario genere. E accanto a quella pubblica fiorisce anche l’iniziativa privata: c’è chi ritiene di dover lasciare un proprio segno indelebile sulla superficie già tracciata secoli fa o chi, sportivamente, fa delle rocce una palestra di alpinismo, piantandovi chiodi e quant’altro si renda necessario.

Insomma, gli abitanti della Valcamonica hanno un ben diverso sentire da quelli di Tanum, in Svezia, dove analoghe rocce preistoriche che sorgono in prossimità dei centri abitati, non recintate né custodite, sono religiosamente rispettate perché ritenute patrimonio della comunità. In Valcamonica, il 30 per cento delle incisioni si trova all’interno di aree che sono, almeno istituzionalmente, protette. E se neppure questa circostanza ha impedito il moltiplicarsi di distruzioni e atti vandalici, si può ben immaginare quale possa essere la sorte del restante 70 per cento.

Se si considera che ormai da tempo proprio in quella regione d’Italia si fa riferimento alla discendenza dalle antiche stirpi pre-romane per affermare un’autonomia, non solo culturale, nei confronti di Roma, sorprende che non ci si aggrappi anche alle rocce della Valcamonica. E che, come si vocifera, si pensi al limite di preservarle interrandole. Una soluzione, questa, che, invece di proiettarci verso la valorizzazione del territorio, ci farebbe regredire ai tempi in cui il gruzzolo si nascondeva sotto il mattone.

Per sottoscrivere l’appello si possono inviare i propri dati valcamonica@yahoo.com inserendo nome, cognome, residenza ed eventuale ente di appartenenza.

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