Car-T, un nuovo bersaglio nella lotta al glioblastoma

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(Foto via Pixbay)

Il glioblastoma è un tumore terribile che colpisce il cervello, con prognosi infausta, contro cui poco possono le terapie convenzionali, quali la chirurgia, la radioterapia e la chemioterapia. Nuove promesse potrebbero arrivare dal campo dell’immunoterapia, e in particolare da Car-T, la metodica che mira ad armare i linfociti T del paziente per renderli più aggressivi nei confronti del tumore. Timidi ma incoraggianti risultati arrivano oggi da uno studio pubblicato su Science Translational Medicine, in cui un team di ricercatori, in parte italiano, ha osservato l’efficacia di un nuovo approccio di Car-T in vitro e in modelli animali di glioblastoma. La novità, spiegano i ricercatori, è soprattutto nel bersaglio identificato, molto specifico e molto diffuso nelle cellule malate del glioblastoma.

Perché il bersaglio è il fulcro di Car-T, una terapia che ha dato risultati incoraggianti soprattutto in ambito oncoematologico. Il trattamento prevede, nell’ordine, il prelievo dei linfociti T, la loro ingegnerizzazione con terapia genica per far esprimere un recettore specifico per una molecola espressa dalle cellule tumorali (il bersaglio), l’espansione in laboratorio (per aumentare la numerosità di questo esercito) e quindi la re-infusione nel paziente (o nei modelli animali nel caso si parli di sviluppo preclinico). Un approccio, come accennato, promettente nel caso dei tumori liquidi, ma che pian piano si sta estendendo anche a quelli solidi, come il glioblastoma appunto. Diversi sono le sperimentazioni cliniche in cui Car-T è stata testata contro questo tumore, dirette verso bersagli diversi (come EGFR III, IL-13Ra2 o HER2) e con risultati variabili, più o meno promettenti. Oggi, il team guidato da Serena Pellegatta della Fondazione Istituto di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) Istituto Neurologico C. Besta di Milano presenta un nuovo target per la lotta al glioblastoma con Car-T.

Secondo i ricercatori, il nuovo target identificato (la proteina CSPG4) avrebbe il vantaggio di essere molto specifico e diffuso sulle cellule tumorali del glioblastoma (in circa i 2/3 dei tumori analizzati, analisi su 46 campioni), permettendo di superare uno degli ostacoli nella messa  punto di una terapia Car-T efficace, ovvero l’eterogeneità del tumore, per cui non tutte le cellule esprimono un determinato bersaglio. E se le cellule non esprimono il bersaglio non possono essere viste dall’esercito di linfociti T armati per riconoscerle e attaccarle. Gli scienziati hanno anche osservato come, agendo su una particolare via molecolare (che coinvolte il TNFα), sia possibile anche aumentare il livello di espressione di questa molecola. Ma non solo. “Abbiamo anche osservato che questo target è espresso in quelle che noi chiamiamo cellule-fondatrici del tumore, che sono le cellule staminali del tumore – ha aggiunto Gianpietro Dotti della University of North Carolina di Chapel Hill: “Sappiamo che è molto importante colpire queste cellule anche perché sono probabilmente loro la causa della recidiva del tumore. Se non li colpisci, il tumore tornerà”. L’identificazione di target appropriati, così come le modalità più opportune per il rilascio di una terapia cellulare, la sua capacità di raggiungere il cervello e l’ambiente immunosoppressivo sono le problematiche maggiori nella sfida Car-T contro il glioblastoma.

Nel corso dei loro esperimenti, i ricercatori hanno osservato che una terapia Car-T messa a punto per colpire questo target riesce effettivamente a controllare la crescita delle cellule tumorali in vitro, e anche in vivo (nei topi) prolungando la sopravvivenza degli animali. Tutto questo sebbene, spiegano gli scienziati, sia stata notata una risposta immunosoppressiva da parte del tumore che potrebbe complicare questo approccio di immunoterapia. Per ora, concludono gli autori, si tratta di piccoli passi promettenti, ma per vedere se possano essere quelli giusti sarà necessario attendere l’evoluzione degli studi.

Riferimenti: Science Translational Medicine

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