Carburante dai rifiuti plastici: “Così libereremo gli oceani”

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(Foto via Pixabay)

Un comandante di barca a vela e un chimico organico, insieme per contrastare l’inquinamento degli oceani. Una coppia d’eccezione già di per sé. Ma che diventa ancora più eccezionale per il progetto che sta portando avanti, cioè mettere a punto un processo in grado di consentire il riutilizzo di certe plastiche. Come? Trasformandole in un valido carburante. Una tecnologia che il duo spera possa, un giorno, venire implementata a livello globale sulla terra ferma e persino piazzata a bordo delle barche per convertire in tempo reale i rifiuti plastici in combustile per le imbarcazioni.

I loro nomi sono James Holm e Swaminathan Ramesh. E i risultati del lavoro sono stati appena presentati al 253esimo raduno della American Chemical Society (ACS), società scientifica e associazione professionale degli Stati Uniti che si occupa della ricerca in campo chimico. Holm, lupo di mare, ha solcato le acque per 40 anni. E del crescente inquinamento del mare se ne è reso conto con i propri occhi. “Un paio d’anni fa – ha raccontato il comandante – stavo navigando attraverso il canale di Panama. E, quando mi sono fermato in un isolotto sul versante atlantico, sono rimasto scioccato dall’ammontare di plastica che copriva la spiaggia“.

Se non bastasse l’osservazione empirica, anche i dati lo dimostrano: secondo un dossier presentato a Davos lo scorso gennaio, in acqua finiscono almeno 8 milioni di tonnellate di plastica ogni anno. Un’emergenza che ha intercettato anche le ambizioni di Ramesh, pensionato con alle spalle 23 anni nella ricerca chimica, e desideroso di nuove opportunità per migliorare il pianeta. Così i due hanno fatto squadra e deciso di mettersi al lavoro.

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Nella foto James Holm con lo strumento per convertire la plastica in carburante (Credits: Claudia Rocha)

Il meccanismo elaborato poggia le basi sulla tecnologia pirolitica, a lungo utilizzata per scomporre – o depolimerizzare – i polimeri non desiderati, come i rifiuti plastici, e ottenere un carburante a base di idrocarburi. Un processo che, però, di solito richiede complesse e costose fasi di raffinazione per rendere il combustibile ottenuto effettivamente utilizzabile. O, almeno, richiedeva. Fino ad oggi. Perché Ramesh spiega di aver sviluppato un catalizzatore metallocenico depositato su un materiale di supporto poroso che, combinato a una reazione pirolitica controllata, consente di avere del carburante utilizzabile senza il bisogno di ulteriori passaggi di raffinazione. Lo strumento non è di dimensioni eccessive ed è quindi facilmente trasportabile.

James Holm e Swaminathan Ramesh non sono i soli che si propongono l’obiettivo di ridurre l’inquinamento dovuto ai rifiuti plastici. Scott Phillips, chimico e professore della Pennsylvania State University, sta infatti lavorando a una ‘plastica che scompare’. La rivista New Scientist l’ha paragonato all’antitesi di Babbo Natale perché, uno dei risvolti pratici dei suoi studi, è la creazione di giocattoli di plastica che si autodistruggono. Sembra sia a buon punto.

“Nel nostro laboratorio facciamo scomparire oggetti di plastica tutto il tempo”, spiega Phillips a Galileo. “Ma è importante precisare che quando parliamo di plastica che si dissolve, significa semplicemente che è disegnata in modo tale che quando riceve un segnale specifico o viene a contatto con un determinato ambiente, il polimero (che compone la plastica) semplicemente si scompone in molecole più piccole che sono poi solubili”. C’è, però, ancora tanto lavoro da fare. “Al momento, in quest’area, tutti disegnano i polimeri in modo tale da farli durare per sempre e quindi noi li stiamo, in un certo senso, reinventando”. La sfida maggiore? “Far in modo che tutte le molecole in cui si scompone il polimero non siano tossiche”.

Riferimenti: American Chemical Society

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